Definì Nino Di Matteo ”un mitomane”, chiesto processo per Sallusti

Definì Nino Di Matteo ”un mitomane”, chiesto processo per Sallusti

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Per la procura di Palermo il giornalista avrebbe “offeso l’onore e il decoro” del magistrato

La procura di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio per il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti, accusato di diffamazione aggravata ai danni del consigliere togato del Csm Nino Di Matteo. I fatti risalgono allo scorso 31 maggio quando, in diretta negli studi di “Non è l’Arena”, il giornalista aveva definito il magistrato palermitano un “mitomane” e uno che “non può venir a lanciare segnali mafiosi in televisione”. Di Matteo aveva querelato il giornalista dopo che Sallusti aveva duramente attaccato l’ex pm della trattativa Stato-mafia “offendendo la reputazione di Di Matteo”, scrivono il Procuratore aggiunto Sergio Demontis e il pm Vincenzo Amico nella richiesta di rinvio a giudizio. In quella occasione, parlando del ‘caso Di Matteo-Bonafede’ “relativo ai colloqui intercorsi nel giugno 2018 tra il ministro Alfonso Bonafede e Antonino Di Matteo in merito all’eventuale conferimento a Di Matteo dell’incarico a capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria”, come scrive il pm, aveva affermato: “…Mi sembra uno scontro fra due mitomani… da una parte Di Matteo che pensa di essere il più grande giudice addirittura superiore a Falcone (…) anche se il suo curriculum giudiziario non ha, non è lo stesso di quello di Falcone, cioè i suoi processi sono stati prevalentemente, non assolutamente, prevalentemente un disastro (…) però voglio dire non è un giudice che ha segnato la storia giudiziaria di questo paese, no?… e dall’altro c’è un ministro che non è assolutamente in grado di fare il ministro”.

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Poi Sallusti aveva aggiunto: “Di Matteo non può venire a lanciare… segnali mafiosi in tv, dicendo se mi ascoltano dirò qualcosa”. Secondo la Procura Sallusti avrebbe “offeso l’onore e il decoro di Antonino Di Matteo, perché instillava nell’opinione pubblica l’idea che questi avesse una concezione autoreferenziale degli incarichi istituzionali e che fosse disposto a raccontare come veri fatti mai accaduti pur di ottenere pubblico consenso e perché gli attribuiva, inoltre, di avere fatto ricorso a un espediente menzognero posto in essere nell’esercizio della funzione di pubblico ministero, nonché infine, l’utilizzo di comportamenti tipici degli esponenti della criminalità organizzata. Con le aggravanti di avere arrecato offesa attribuendo un fatto determinato, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità”.

Tratto da: Antimafiaduemila

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