Indagini e condanna, le connessioni pericolose di Letizia Moratti

Indagini e condanna, le connessioni pericolose di Letizia Moratti

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Da qualche giorno il nome di Letizia Moratti, ex sindaca di Milano, è tornato alla ribalta ed è indicato sempre con più insistenza come sostituta di Giulio Gallera nel ruolo di assessore alla Sanità per la Regione Lombardia.
Un rimpasto fortemente voluto dalla Lega. Al di là degli aspetti “politici” a colpire è un altro dato evidenziato questa mattina su Il Fatto Quotidiano da Gianni Barbacetto, ovvero come certe figure trovino sempre le luci della ribalta, nonostante siano state oggetto di condanne e inchieste.
Letizia Moratti non è da meno. E’ stata condannata nel 2019 dalla Corte dei conti “per colpa grave” nella cosiddetta vicenda “consulenze d’oro”. Nel 2006, quando era primo cittadino di Milano, vennero assegnati sei incarichi dirigenziali con “illeciti conferimenti” e altri sei ingaggiati con “non consentite nomine di addetti all’Ufficio stampa comunale”.
La Corte dei conti, assieme ad altre 21 computati, certificò le responsabilità e la condannò a rimborsare 591 mila euro di danno erariale.
Pesantissima la motivazione per cui l’operato di Letizia Moratti aveva avuto “il connotato della grave colpevolezza, ravvisabile in uno scriteriato agire, improntato ad assoluto disinteresse dell’interesse pubblico alla legalità e alla economicità dell’espletamento della funzione di indirizzo politico-amministrativo spettante all’organo di vertice comunale”. Non solo. I magistrati ravvisarono anche che nessuno dei nominati era in possesso delle competenze professionali richieste dalla legge.
Ma non c’è solo questo fatto a generare imbarazzi.
Nel 2017, quando era presidente di Ubi banca (ruolo che ha ricoperto fino all’ottobre 2020) un funzionario antiriciclaggio, Roberto Peroni, denunciò come la banca avesse una quarantina di clienti molto speciali, che godono di un trattamento particolare. Soggetti su cui non sarebbero stati mai effettuati controlli o segnalazioni di operazioni sospette.
Tra questi vi sarebbe proprio la presidente Moratti. L’accusa riguardava le operazioni della Saras Trading, società svizzera del gruppo Moratti, che avrebbe ricevuto da Ubi Factor finanziamenti milionari poi finiti all’estero, con transazioni passate nelle Isole del Canale.

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La Procura di Brescia aprì un’indagine che venne archiviata nel 2019 tenuto conto che la mancata segnalazione di operazioni sospette non è più reato ma solo illecito amministrativo, comunque sanzionato dalla Banca d’Italia con una multa a Ubi di 1,2 milioni di euro.
Tutto finito? Niente affatto perché la posizione della Moratti venne stralciata e le carte furono inviate alla Procura di Cagliari. Nella nuova inchiesta si è scoperto che la Saras, tra il 2015 ed il 2016, avrebbe aumentato le importazioni di greggio dal Kurdistan iracheno, allora controllato dall’Isis. Addirittura i prezzi sarebbero stati ribassati “mediamente di oltre il 22 per cento, con punte del 38-42 per cento”. L’ipotesi degli investigatori è che sia lo Stato Islamico a contrabbandare il petrolio, dal porto di Bassora, in Iraq, attraverso Petraco Oil Company Llp, società inglese con una sede a Lugano, controllata da una sigla domiciliata nell’isola di Guernsey.
In quegli anni la Petraco era la principale fornitrice di petrolio di origine irachena a Saras Trading.
La Moratti sarebbe coinvolta sia come azionista di Saras che come Presidente di Ubi banca.
Perché è accaduto che il consiglio d’amministrazione di Ubi Factor, il 23 dicembre 2016, deliberò di finanziare Saras Trading con 45 milioni di euro.
E secondo gli inquirenti la banca ha “volutamente omesso” la segnalazione all’antiriciclaggio, pur “in una situazione di palese conflitto d’interessi” con i contratti di factoring che potrebbero essere “un modus operandi” per nascondere “la provenienza delittuosa” del petrolio.
Secondo quanto riportato dal quotidiano il gruppo Moratti è indiziato anche “di relazioni commerciali con società contigue ad ambienti della criminalità organizzata o ad alto rischio di condizionamento”. Gli investigatori citano la Kb Petrols, società anch’essa in rapporti con Ubi Banca e anch’essa non segnalata all’antiriciclaggio. Il suo rappresentante legale è Claudio La Rosa, che risulta in contatto con Giuseppe Arena, considerato organico della famiglia di Cosa nostra Santapaola-Ercolano, essendo una delle persone più vicine (autista e guardaspalle) a Vincenzo Aiello, rappresentante provinciale di Cosa nostra catanese”.
Insomma connessioni pericolose che fanno riflettere e restituiscono la misura di come la politica dimentichi sempre e non sia mai capace di scegliere le figure migliori.

Tratto da: Antimafiaduemila

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