Di Pino Cabras*
Sta tutto nel suo incipit, in quel “c’era una volta”, il limite dell’editoriale di Marco Travaglio che attacca e ingiuria quei parlamentari 5Stelle indisponibili a dare un mandato a firmare la revisione peggiorativa del Trattato Mes. Infatti il direttore de «Il Fatto Quotidiano» ci racconta una fiaba. Una favoletta che trasfigura una vicenda degli anni novanta (la caduta del governo Prodi per mano di Bertinotti e altri) che non ha nulla a che fare con la situazione di oggi ed evoca personaggi mossi da interessi e idee legati a tempi diversi. Come in tutti gli articoli sul Mes pubblicati sui giornaloni, anche nell’organo della corrente sterilizzatrice della politica italiana non si entra nel merito delle enormi implicazioni della revisione del trattato.
Nella semplificazione tipica delle fiabe, il Romano Prodi di Travaglio fu il re di un’Età dell’Oro dell’Italia, mentre chi gli tolse la fiducia fu responsabile di fargli succedere dei privatizzatori selvaggi. Nella realtà proprio Prodi aveva come zenit del suo curriculum l’essere stato l’inauguratore di una stagione di svendite dell’industria pubblica che ancora grida vendetta al cielo. Il nostro fustigatore ascrive a Prodi un altro merito: «portò l’Italia in Europa»; decise cioè, contrariamente ad altri governi, di entrare nell’euro ingabbiando la Repubblica italiana in un’interminabile stagnazione che ha impoverito lo Stato con un quarto di secolo di avanzi primari buttati nella fornace di Maastricht, un interminabile declino industriale e finanziario, una perdita di sovranità che si è via via perfezionata a ogni giro e ogni “riforma” con lacrime e sangue. La successiva stagione di Prodi come presidente della Commissione europea – quella dell’allargamento a Est – portò all’esasperazione di tutti i difetti della costruzione europea che conosciamo: una macchina inesorabile per la quale, come dice Jean-Paul Fitoussi, «possono cambiare i governi ma non può cambiare la loro politica». È il pilota automatico dell’austerità e del fiscal compact, del Mes e delle condizionalità, dei paesi nordici e dei paesi sudici, dei frugali (furbali) che scordano il loro debito privato e dei Pigs cui si ricorda il loro debito pubblico, del precariato e della prevalenza del privato.
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Parliamo di un sistema che ha generato un’opposizione crescente in tutta Europa e che in Italia nel 2018 si è tradotto nelle urne con la sconfitta catastrofica del PD. Quel 18% è il modo in cui gli elettori hanno punito l’architrave delle politiche ‘austeritarie’, intanto che premiavano chi prometteva solennemente di farla finita con gli strumenti di tortura della troika. Oggi Travaglio raffigura coloro che intendono impedire l’ennesima riforma ‘in peius’ come se fossero un manipolo di coglioni duri e puri, delle «teste calde (o vuote)», dei fanatici talebani accecati dalla ricerca di «visibilità», mentre invece la maggior parte dei parlamentari pentastellati che sarebbero pronti ad autorizzarla sarebbe gente che vede «al di là del proprio naso».
L’alfiere delle Teste Call-Mes dimentica (e lo dimenticano anche alcuni dei deputati presunti lungimiranti) un piccolo dettaglio: tutti – ma proprio tutti i parlamentari 5stelle – devono il proprio seggio allo zelo con cui il M5S diceva di essere una cosa diversa che voleva smantellare la Troika. Tutti. Gli elettori nel 2018 ci hanno spedito nelle aule parlamentari non solo per cambiare un governo, ma per cambiare la sua politica, per dire no alle norme che armavano gli artigli degli eurocrati. Cioè per spegnere il pilota automatico di Bruxelles. Nulla fa pensare che l’opinione degli elettori sia cambiata su questo.
Anche i leghisti e altri esponenti del centrodestra a suo tempo dissero sì al trattato del Mes con la promessa di non volerlo utilizzare, ma non si contano gli attacchi contro di loro portati dal Fatto Quotidiano e dai nostri parlamentari per quella scelta. Invece oggi dovremmo anche noi caricare la pistola del Trattato e promettere anche noi di non sparare. Che senso ha? Sarebbe l’ennesimo rovesciamento tra il dire e il fare con una drammatica sottovalutazione della volontà popolare.
Anche un altro elemento del paragone con Bertinotti fatto da Travaglio è proprio sbagliato. Nel 1998 il “ricatto” della sfiducia veniva da Bertinotti. Oggi innanzitutto non si tratta affatto di un voto di sfiducia al governo ma del merito di un mandato specifico da conferirgli o meno e noi non intimiamo nessun ricatto. Semmai sono il PD e il suo spinoff renziano a ricattare Giuseppe Conte. Sono loro che dicono di voler togliere la fiducia sulla questione Mes, non certo noi, e questo cambia radicalmente la prospettiva. Perché mai dovremmo cedere al ricatto di due gruppi parlamentari renziformi (che non sono dei cuor-di-leone ma dei cul-di-bostik e che se si andasse alle urne perderebbero oltre un terzo dei loro membri)? I ricatti di questo tipo non si accettano e basta. Non si devono invertire causa ed effetto, né la responsabilità della minaccia. Non si deve dire il primo sì al guappo che ritornerà sempre a estorcerti ulteriori sì e a sdraiarsi sempre di più sulla debolezza crescente del tuo potere negoziale. Sarebbe proprio una cosa assai stupida politicamente, a ben guardare.
Com’è che diceva Churchill ai governanti britannici che avevano ceduto la Cecoslovacchia alla Germania? «Potevate scegliere tra la guerra e il disonore. Avete scelto il disonore e avrete la guerra». Anche oggi, se c’è aria di guerra, cioè di crisi di governo, non è certo per la posizione dei parlamentari che vogliono rinviare la revisione del Trattato del Mes. La crisi incombe comunque per altre vie. Basta leggere le agenzie. Troppo comodo scaricare le contraddizioni del sistema su chi rispetta i suoi elettori.
Travaglio non è il solo a temere «le ritorsioni che ci pioverebbero in capo» nel caso di un veto in sede UE. Non sarebbe una passeggiata, lo sappiamo benissimo. Il discorso che c’è sotto questo giustificato timore è che l’Europa non è un paradiso di solidarietà e fratellanza, ma un sistema severo di rapporti di forza e gerarchie. Ma va? Ben svegliato, Marco!
Ma qui dobbiamo intenderci. Che cosa succede se spingiamo l’allegro Gualtieri e soprattutto Conte a firmare? Semplice: rendiamo ancora più rigida la gerarchia, rendiamo già operativo un sistema ancora più ritorsivo. Puoi anche solennemente annunciare che tu sei l’agnello che entra in mattatoio non volendo attivare i coltelli di marca Mes. Ma il nuovo Mes ora separerà due categorie di paesi: quelli che possono ricorrervi con la generica promessa di aderire meglio ai parametri di Maastricht e al fiscal compact attraverso una semplice lettera di intenti, e quelli che saranno additati come Stati gravati da un debito-paria, che potranno accedere soltanto a una linea di credito soggetta a condizioni rafforzate (come peraltro sta già sottilmente accadendo per il Recovery Fund). Cioè austerity, vincolo esterno rigidissimo, Grecia 2.0. La ritorsione sarebbe già qui e ora, con la nostra spensierata firma.
L’esistenza di una pistola carica puntata alla tempia dell’Italia può far perdere valore ai nostri titoli (magari anche complice qualche agenzia di rating), quindi aumentare gli interessi sul macigno divenuto ancora più pesante dopo la crisi Covid, infine innescare un circolo vizioso che obbligherà a rivolgersi al Mes. Bell’affare.
Proprio la fermezza di una forza politica di governo può disinnescare questa corsa al peggio. Gli scenari paurosi prospettati da Travaglio per offrire un riparo a chi teme per la propria candidatura sono appunto spauracchi. Si adempirebbero lo stesso e più facilmente proprio se ci si inchinasse definitivamente al programma di chi è stato sconfitto alle elezioni. Dopo di che, persa ogni ragione specifica per esistere, il M5S, ormai preda esausta dei suoi sterilizzatori, potrebbe anche tranquillamente biodegradarsi negli sgabuzzini della sede MES in Lussemburgo.
* Deputato M5S
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