Caso David Rossi: ”Indagini superficiali sulla morte del manager”

Caso David Rossi: ”Indagini superficiali sulla morte del manager”

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Ci sono state “carenze” nella prima inchiesta sulla morte di David Rossi, manager del Monte dei Paschi di Siena. Lo scrivono nero su bianco i magistrati genovesi, incaricati di valutare presunti depistaggi dei colleghi toscani. Un’inchiesta alla quale seguì una seconda: in entrambi i casi è stata esclusa l’ipotesi dell’omicidio. “Le denunce di lacune e superficialità sono infondate – scrive la Procura di Genova – se riferite alla seconda indagine”. Un’istruttoria “ampia e scrupolosa”, ma condotta fuori tempo massimo, quantomeno per eseguire accertamenti ormai impossibili. Sarebbero due le principali mancanze evidenziate del primo fascicolo: “La distruzione dei vestiti” indossati da David Rossi e “dei fazzolettini intrisi di verosimile sostanza ematica rinvenuti nel suo ufficio”, reperti mai analizzati. Tuttavia, “anche a voler ammettere che le critiche alla prima indagine non siano del tutto infondate, ciò non consente di affermare che tali omissioni siano state determinate dalla volontà di ostacolare l’accertamento della verità”.
Queste sono le motivazioni per cui la stessa Procura di Genova ha chiesto l’archiviazione sul presunto insabbiamento della vicenda. Archiviazione alla quale si è opposta la famiglia del manager morto il 6 marzo del 2013. Per la famiglia si trattò di omicidio, per gli inquirenti, invece, suicidio. Ad accendere un faro sul caso erano state Le iene che avevano portato a galla, con varie puntate ed uno speciale, numerosi elementi che confuterebbero l’ipotesi di chi indagò secondo cui David Rossi si era tolto la vita.

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Dall’inchiesta delle Iene emerse una rete a maglie fitte costituita da politica, finanza, istituzioni e massoneria di Siena con al centro proprio la banca più antica del mondo, Monte dei Paschi, travolta da uno scandalo finanziario senza precedenti. In questo maxi scandalo, come raccontato dalle Iene, si inserisce un altro riguardante possibili ricatti a magistrati senesi legati a festini hard.
Ed è proprio questo l’altro elemento portante dell’incartamento, ora in mano al Consiglio Superiore della Magistratura, incaricato di valutare le condotte disciplinari della magistratura. In quegli atti sono contenute le dichiarazioni di due testimoni che collegano i nomi di due magistrati di Siena a “festini omosessuali”. Il primo, che aveva già parlato alle telecamere delle Iene sotto anonimato, si dichiara un ex escort, che avrebbe partecipato a un lussuoso giro di prostituzione. L’uomo è stato identificato dai magistrati attraverso i tabulati telefonici. Collega un magistrato a un “rapporto di gruppo”. Di un altro, riconosciuto durante l’intervista televisiva, dice invece di non essere più così sicuro. Questo secondo nome è lo stesso fatto da un altro testimone di cui al momento nessuno sapeva l’identità: si chiama William Villanova Correa, è detenuto per omicidio nel carcere di Massa per aver ucciso una prostituta. Anche lui avrebbe partecipato a party con “personalità altolocate”, che avrebbero coinvolto “minorenni”. Di uno dei due magistrati, lo stesso di cui aveva parlato il primo testimone, dichiara: “Chiedete a lui dei festini, ha la coscienza sporca”. L’ex escort ha indicato tra i partecipanti a quelle serate anche un alto ufficiale dei carabinieri che prestò servizio a Siena e un manager di Mps. Tuttavia alle dichiarazioni di Villanova Correa la Procura di Genova attribuisce scarsa credibilità, perché troppo “generiche”. Dell’ex escort, sempre secondo gli investigatori, “è lecito quantomeno dubitare”, sebbene gli venga riconosciuto come la sua deposizione sia “più netta e perentoria”: “Non è sempre stato coerente. In almeno un caso ha manifestato successivi dubbi su riconoscimenti precedentemente effettuati in termini di sicurezza”. E nel descrivere l’intervista televisiva “ha precisato che le modalità del giornalista lo hanno un po’ frastornato”.


“Le risultanze – si legge ancora nelle carte inviate al Csm – non hanno fornito alcuna risultanza dalla quale possa desumersi che tali inopportune abitudini siano state indebitamente utilizzate per esercitare indebite pressioni sugli inquirenti”. La questione dell’“opportunità”, a questo punto, e della presunta “esistenza di inconfessabili frequentazioni e legami”, investirà un eventuale procedimento disciplinare. Per finire c’è un ultimo mistero riguardante il racconto di un terzo testimone che riferisce di festini nei dintorni di Siena: un computer con foto e video compromettenti, poi “ripulito” subito dopo la morte del manager di Monte dei Paschi.

Fonte:Il Fatto Quotidiano

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