Quella bandiera blu era sempre stata consolatoria e paterna quando si paventavano oscuri scenari bellici. L’Onu, il garante della pace istituito dopo la seconda guerra mondiale appariva come una vera forza in grado di mediare le pulsioni belligeranti delle grandi superpotenze in lotta fra loro: i 5 stati vincitori della seconda guerra mondiale (Cina, Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti), gli unici aventi diritto di veto al consiglio di sicurezza, sembravano garantire una ripartizione granitica dei rispettivi territori di influenza tra Stati Uniti e l’allora Unione Sovietica.
Trascorsi oltre 70 anni dall’ultima grande guerra, dopo decenni di conflitti, aggressioni, genocidi e provocazioni che rincorrono a tutta velocità l’innesco di un ulteriore scenario bellico mondiale, (l’ultimo della razza umana date le armi in gioco) ecco che le Nazioni Unite, silenti e conniventi con un orizzonte che mostra già le deflagrazioni della più ceca follia umana, mostrano il volto pallido di un’istituzione che dietro un’ipocrite promesse, si adopera con sudditanza nei confronti di quel
potere che la guerra la vuole a tutti i costi. Carla Del Ponte, ex procuratrice capo del Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, non
ha usato mezzi termini alla settima edizione del Film Festival dei diritti umani a Lugano lo scorso 17 ottobre: “Non c’è più volontà politica di ottenere la giustizia internazionale”, ha detto, ricordando il suo lavoro alla commissione d’inchiesta indipendente dell’Onu sulla Siria che portò avanti dal 2011 fino al 2017, quando scelse di dare le dimissioni dopo aver constatato la fredda negligenza delle Nazioni Unite nel voler condannare le azioni criminali delle forze in lotta.
Al consiglio di sicurezza dell’Onu, tra i membri aventi diritto di veto, ci sono infatti esattamente coloro che vogliono continuare quella guerra criminale in medio oriente: un paradosso quasi tragicomico vive questo pianeta, dove i garanti della pace sono oggi gli aguzzini più efferati, ma sono ben vestiti e piacenti per il mondo televisivo, dedito a mostrare sempre il volto umano della mostruosa mega macchina occidentale di guerra per il predominio.
Non dovremo mancare poi di ricordare le mail di Hilary Clinton inviate all’ex consigliere di Barack Obama, John Podesta, pubblicate da Wikileaks, in cui affermava che gli alleati statunitensi Qatar e Arabia Saudita avevano finanziato lo stato islamico.
Un particolare confermato anche dall’ex comandante delle forze Nato in Europa, Wesley Clark, che ci aveva ricordato tra l’altro già nel 2007 che le guerre sarebbero state una necessità, menzionando un memorandum datato 2001 del ministero della difesa in cui si programmava di attaccare 7 nazioni in 5 anni. Nell’ordine: Iraq, Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan ed infine l’Iran.
Viene da chiedersi, come si sono adoperati i garanti della pace a questo proposito? Gli Stati Uniti, attaccando l’Iraq nel marzo 2003 violarono la risoluzione 1441 (8 novembre 2002) del Consiglio di sicurezza, che rimandava ad una delibera successiva l’eventuale decisione di impiegare la forza e in particolare fu violato l’articolo 42 della carta delle Nazioni Unite che attribuisce al Consiglio stesso la decisione in merito ad un’azione militare contro lo Stato in questione.
La storia la conosciamo bene, Collin Powell (allora segretario di stato Usa) il 5 febbraio 2003 esibì quelle che a suo dire erano le prove circa l’esistenza di laboratori mobili per la messa a punto di aggressivi batteriologici e chimici. Tutta una montatura, smentita da un rapporto dell’Onu pubblicato il 30 settembre 2004, quando tuttavia oramai le operazioni militari erano già da tempo avviate. Risultato? Mezzo milione di iracheni morti in nove anni di conflitto, secondo recenti stime pubblicate in un articolo su Plos Medicine. Ci saremo dovuti aspettare sanzioni unilaterali per gli Stati Uniti ed i loro alleati, ma niente da fare, dato il diritto di veto attribuito agli stessi aggressori che indegnamente presiedono consiglio di sicurezza.
In Libia l’intervento militare cercherà di ottenere una maggiore legittimazione da parte dell’Onu: la risoluzione 1973 autorizzava la comunità internazionale a prendere “ogni misura necessaria”, esclusa l’invasione di terra, per proteggere i civili libici e disarmare il regime di Muammar Gheddafi.
I ribelli armati che assediavano la roccaforte del dittatore, dovevano essere appoggiati ad ogni costo, un comma della risoluzione sottolineava “la necessità di intensificare gli sforzi per trovare una soluzione alla crisi” in risposta “alle esigenze legittime del popolo libico”. Una aperta violazione all’art. 2, par. 4 della Carta, che pone il divieto per gli Stati membri di ricorrere, nelle loro relazioni internazionali, alla minaccia o all’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato.
Per fortuna anche in questa circostanza giornalisti liberi come Julian Assange ci avevano aiutato a capire meglio quali fossero le legittime esigenze del popolo Libico: effettivamente nel carteggio, pubblicato da Wikileaks tra la Clinton e Sarkozy, si evidenziava tranquillamente che bisognava far presto a rovesciare Gheddafi, dato che stava usando le riserve auree libiche per creare una moneta unica Africana che avrebbe danneggiato sia in Franco francese africano che il dollaro.
Quale eresia!! Le conseguenze di quell’intervento militare mirato che ha portato all’eliminazione di Gheddafi oggi sono sotto gli occhi di tutti: un paese balcanizzato, una polveriera di fazioni in lotta fra loro in cui i trafficanti di esseri umani hanno campo libero, anche sotto la complicità del governo italiano.
L’Onu oggi può rallegrarsi di aver raggiunto a Ginevra il 23 ottobre un accordo sul cessate il fuoco tra le milizie dell’Est, guidate da Khalifa Haftar, e l’esercito del Governo di Accordo nazionale (Gna) sotto assedio a Tripoli. Ottimo risultato si direbbe, dopo 10 anni di lavori estenuanti per “mantenere la pace”.
Che dire poi della corsa agli armamenti, l’avvento delle armi ipersoniche, l’abolizione dei trattati sui missili a medio raggio, la militarizzazione dell’Europa, le provocazioni alla Russia: il Trattato per la proibizione delle armi nucleari istituito dalle Nazioni Unite il 7 luglio 2017 ha visto, dei 195 Stati potenziali partecipanti, 66 di costoro che non hanno nemmeno partecipato formalmente ai negoziati, tutti detentori ovviamente di armi atomiche.
È oramai evidente che l’Onu ha fallito la sua missione; in assenza di una riforma radicale, con l’incalzare dell’escalation militare in atto, sembra guardare impotente e complice lo scenario bellico che si avvicina, fino al punto forse di avvallarlo con l’ennesima risoluzione intrisa di diabolica doppiezza.
Se non saranno cittadini a diventare garanti dei “garanti della pace” dunque non ci sarà scampo al disastro che incombe.
Viva b e viva l’informazione libera, unici pilastri rimasti per i quali possiamo ancora fare affidamento al fine di ottenere giustizia.
Buona giornata delle Nazioni Unite a tutti.
Tratto da: Antimafiaduemila
206 thoughts on “Onu: il fragile ”palazzo di vetro” specchio del mostro imperialista”
Comments are closed.