La sparatoria in spiaggia a Roma (Torvaianica) avvenuta domenica 20 settembre, per chi studia i fenomeni di mafia, ha un significato preciso: la leadership criminale nella città eterna sta passando ai clan albanesi. Lo stile delittuoso rientra nella più classica delle esecuzioni ostentate. Il killer si dirige verso un bagnante, gli spara alla schiena, gli dà il colpo di grazia con tutta calma e poi lascia indisturbato la spiaggia, nel panico generale, a bordo di una moto che lo aspetta per la fuga. L’omicidio avviene non a caso davanti a una folla.
Il segnale è inequivocabile
Il segnale è inequivocabile: ora comandiamo noi e chi sbaglia muore, guardate tutti in che modo! Chi avesse ancora dubbi sappia che Roma è a tutti gli effetti territorio di mafia ora controllato in maniera predominante dalle mafie albanesi. Non è più un territorio dove prima di uccidere gli albanesi avrebbero dovuto chiedere il permesso. Dopo gli ultimi vuoti di potere, oggi, gli albanesi possono spargere sangue e non temere ripercussioni all’interno dei clan, ovvero, la sollevazione dei cittadini, o ancora l’attenzione mediatica. Gli albanesi usano i vecchi metodi e marcano inizialmente il loro territorio con le armi e la violenza. Ora Roma rischia davvero il predominio di queste nuove mafie. Non escludo una stagione di violenze scatenata da quei clan che non accetteranno tal egemonia. A Roma ci sono le ‘ndrine calabresi, la camorra napoletana e casalese e cosa nostra siciliana che potrebbero reagire qualora i loro affari fossero messi in discussione o ridimensionati.
Ndrangheta, camorra e cosa nostra non amano la gestione militare e violenta degli affari. Queste mafie hanno spesso concesso in subappaltato agli albanesi, ai vari Piscitelli e a Carminati gli affari legati allo spaccio e al traffico di droga. Eliminato Piscitelli e annullato Carminati, sono rimasti gli albanesi che ora tentano la scalata al potere. Occorrerà aspettare per conoscere se la loro scalata contrasti con il potere delle organizzazioni mafiose italiane. Le mafie albanesi sono diventate potentissime grazie alla produzione e al traffico di stupefacenti in tutta Europa. Dopo anni di presenza e di alleanze sul territorio romano il loro potere si è rafforzato notevolmente. Gli ordini per esecuzioni così plateali arrivano direttamente da Tirana da dove si gestiscono le grandi piazze di spaccio romane e si forniscono e si controllano i carichi. Calabresi, campani e siciliani – cui forniscono droga a prezzi imbattibili, detenendo ormai il monopolio assoluto del traffico – hanno stipulato in passato patti di non belligeranza con gli albanesi.
Dovremo ora chiederci: reggeranno ancora questi patti?
Durante tutte questa evoluzione criminale la politica purtroppo è restata e resta immobile permettendo che questi fenomeni crescessero e continuino a crescere al punto da diventare non più infiltrazioni ma radicamento vero e proprio. Roma è adesso a tutti gli effetti anche terra di mafia albanese. Anzi, di mafie albanesi miste a quelle italiane. Non dimentichiamoci che le capacità criminogene di questa mafia sono impressionanti, poiché riescono a fondere caratteri “tradizionali” (rigida disciplina interna, chiusura a terzi, impermeabilità, affidabilità e alto potenziale intimidatorio) con elementi “moderni” (transnazionalità, imprinting economico e stretti contatti con la politica). La loro potenza economica e militare proviene quasi tutta dal traffico di stupefacenti.
La criminalità organizzata albanese, secondo la DIA, resta l’organizzazione straniera tra le più attive, pericolose e ramificate in territorio italiano (Relazione DIA, 2018) di là da diverse e importanti operazioni di polizia (quasi tutte antidroga) concluse nel corso del 2018 e nel 2019 con arresti e sequestri. Oggi, sciaguratamente, si avvera quanto scrissi oltre tre anni fa, quando evidenziai il pericolo delle mafie albanesi e dissi che a Roma non rappresentavano solo un fenomeno marginale. In questi giorni abbiamo compreso, a nostre spese, che invece occupano ruolo centrale nello scacchiere del crimine organizzato romano.
Vincenzo Musacchio, giurista, professore di diritto penale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA), ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Discepolo di Giuliano Vassalli e allievo di Antonino Caponnetto.
Tratto da: Antimafiaduemila
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