di Thomas Fazi
In tanti mi hanno chiesto un commento sulla proposta di Recovery Fund della Commissione europea che a sentire gli europeisti nostrani sarebbe un evento di portata storica secondo solo al ritorno del Messia (ma forse pure meglio visto che la tendenza del Cristo a creare vino dal nulla rischierebbe di generare inflazione).
Sarò breve, non solo perché oggi è il mio compleanno, ma perché sarebbe il caso di smetterla di sprecare inchiostro per commentare quelle che sono appunto proposte che poi dovranno passare al vaglio dei governi nel corso di trattative che dureranno mesi e alla fine dei quali della proposta iniziale rimarrà ben poco.
Ciò detto, poniamo che il piano della Commissione europea passi così com’è. Cosa prevede esattamente? Girano cifre molto fantasiose. Da ieri tutti gli organi di stampa parlano di 172 miliardi di “aiuti” per l’Italia, 80 dei quali addirittura a fondo perduto. Detta così sembrerebbe quasi un buon affare. «Una pioggia di soldi», l’ha definita l’ineffabile Enrico Mentana.
Peccato che nei documenti ufficiali – che come è noto i giornalisti e gli europeisti di casa nostra hanno serie difficoltà a comprendere – non si faccia nessun riferimento a questa cifra. I numeri riportati dal documento della Commissione europea (p. 51,https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/economy-finance/assessment_of_economic_and_investment_needs.pdf) sono ben altri, come si può vedere nell’immagine: all’Italia spetterebbero infatti 153 miliardi, una cifra comunque di tutto rispetto.
Come si può vedere nella colonna successiva, però, di quella cifra 96,3 miliardi dovranno essere contributi… dall’Italia, che dunque al netto riceverà la colossale somma di… 56,7 miliardi, pari al (tenetevi forte) 3,2% del PIL italiano, spalmati nel corso di quattro anni (0,8% del PIL all’anno). Senza parlare del fatto che solo una parte di quei 56,7 miliardi sarà a fondo perduto e che in ogni caso tutti i flussi che arriveranno dalla UE – sia sotto forma di prestito che di trasferimento – saranno soggetti a condizionalità e vincoli di destinazione. E che molto probabilmente non se ne parla prima del 2021.
Ricapitolando: poche decine di miliardi netti (pari a una frazione del PIL italiano) spalmati su vari anni e con condizionalità annesse, a fronte di un crollo del PIL che per il nostro paese si prospetta a doppia cifra (-15% solo nel primo semestre del 2020 secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio). E mentre tutti i paesi avanzati extra-euro annunciano piani da centinaia di miliardi di yen/sterline/dollari.
E c’è anche chi esulta.
Tratto da: L’Antidiplomatico
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