In migliaia provenienti dalle aree del delta del Niger di Ogale e Bille cercano giustizia presso l’alta corte di Londra
Shell trascinata dinanzi all’Alta corte di Londra da quasi 14mila persone di due comunità nigeriane, accusata di “devastating impact of pollution”, di essere responsabile cioè del “devastante inquinamento” delle loro fonti d’acqua e della distruzione del loro stile di vita.
Sono gli abitanti di Ogale, nella zona del delta del Niger, ad aver presentato le loro richieste la scorsa settimana, unendosi a più di 2mila persone dell’area di Bille, una comunità di pescatori. In totale, 13.652 reclami da privati, chiese e scuole, per chiedere al gigante petrolifero di ripulire l’ambiente dall’inquinamento e un risarcimento per la conseguente perdita dei loro mezzi di sussistenza.
La nostra capacità di coltivare e pescare – dicono – è stata distrutta dalle continue fuoriuscite di petrolio dovute all’attività della Shell.
Dal canto suo, Shell (che ha dichiarato profitti per oltre 30 miliardi di dollari per i primi tre trimestri del 2022) sostiene che le comunità non avrebbero alcun diritto legale per costringerla a ripulire l’ambiente e che alle persone sarebbe addirittura vietato chiedere un risarcimento per sversamenti avvenuti cinque anni prima che presentassero le loro richieste.
Secondo la compagnia, insomma, non ci sarebbe alcuna sua responsabilità per il travaso di petrolio dai suoi oleodotti.
Questo caso solleva importanti questioni sulle responsabilità delle compagnie petrolifere e del gas – dice Daniel Leader, un partner di Leigh Day, lo studio legale londinese che rappresenta i nigeriani. Sembra che Shell stia cercando di lasciare il delta del Niger libero da qualsiasi obbligo legale per affrontare la devastazione ambientale causata dalle fuoriuscite di petrolio dalle sue infrastrutture per molti decenni.
Le denunce che sono state ora depositate forniscono dettagli sulla natura del danno che i residenti di Ogale e Bille hanno subito e continuano a subire. Nel 2011, la valutazione ambientale dell’Ogoniland del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) riportò, dopo uno studio dettagliato di tre anni, come il popolo Ogoni fosse esposto quotidianamente a una grave contaminazione da petrolio, con un impatto sulle loro fonti d’acqua, sulla qualità dell’aria e sui terreni agricoli. L’UNEP raccomandò allora di adottare misure urgenti per garantire la più grande operazione di bonifica terrestre della storia e ha scoperto che vi era “un pericolo immediato per la salute pubblica”.
Ma quelle persone, ad oggi, bevono ancora da pozzi avvelenati.
A Ogale, il sistema idrico di emergenza non ha funzionato negli ultimi cinque anni. La maggior parte dei residenti non ha accesso all’acqua pulita poiché le acque sotterranee e le falde acquifere sotto la comunità di Ogale sono gravemente inquinate.
A Bille, anche l’acqua potabile della comunità è inquinata e il petrolio ha ucciso la maggior parte dei pesci e dei molluschi nei fiumi, lasciando la popolazione di pescatori di Bille senza una fonte di cibo o reddito. Ciò ha causato un cambiamento fondamentale nel modo di vivere della comunità di Bille; un popolo che in precedenza era fortemente concentrato sulla pesca non è più in grado di pescare.
Le comunità di Bille e Ogale sono impegnate in un contenzioso con Shell in realtà già al 2015 – ricorderete qui la marea nera in Niger.
Il 12 febbraio 2021, la Corte Suprema del Regno Unito ha stabilito all’unanimità che esisteva “un buon caso discutibile” secondo cui Shell plc, la società madre del Regno Unito, era legalmente responsabile dell’inquinamento sistemico causato dalla sua filiale nigeriana, SPDC. Il caso sta ora procedendo al processo per determinare se la società madre di Shell a Londra, così come la sua sussidiaria nigeriana SDPC, sia legalmente responsabile del danno causato alle comunità in Nigeria.
Ora che il registro di gruppo è stato depositato in tribunale, la fase successiva del caso prevede un’udienza di gestione del caso da fissarsi nella primavera del 2023, in vista del processo completo che dovrebbe svolgersi l’anno successivo. Staremo a vedere.
Fonti: Studio Leigh Day / The Guardian, GreenMe