Il dato riportato dalla seconda relazione semestrale del 2021 della Direzione Investigativa Antimafia
Di Karim El Sadi
“I volumi di affari legati alle attività illegali – attraverso le quali la criminalità organizzata si finanzia e si arricchisce – sono ingenti e si può stimare che rappresentino oltre il 2 per cento del PIL italiano. A tali valori occorre poi aggiungere i proventi delle mafie ottenuti attraverso l’infiltrazione nell’economia legale”
A riportarlo è la Direzione Investigativa Antimafia nella sua relazione semestrale sui fenomeni criminali citando uno studio della Banca d’Italia pubblicato a dicembre dell’anno scorso pubblicato a dicembre dell’anno scorso.
“La crescita del fenomeno mafioso scaturisce dalla capacità dei gruppi criminali di accrescere nel tempo il loro bagaglio ‘relazionale’ rapidamente e intuendo i cambiamenti sociali ed economici per trasformarli in opportunità di guadagno”
osserva la Dia riportando la tendenza delle consorterie mafiose a rivolgere le proprie mire di espansione imprenditoriale verso quelle Regioni con “…un PIL pro capite più elevato e una maggiore dipendenza dell’economia locale dalla spesa pubblica e quindi verso territori con maggiori opportunità di investimento, di profitto e di estrazione di rendite”. Anche il livello di corruzione della pubblica amministrazione “è positivamente associato alla presenza mafiosa, indicando una maggiore vulnerabilità al potere corruttivo delle mafie”, si legge.
“Tuttavia l’immissione di liquidità attuata dalle organizzazioni mafiose, l’accaparramento degli appalti a scapito di imprese rispettose delle normative e la distorsione degli ordinari meccanismi che regolano l’andamento del sistema domanda/offerta, se in un primo momento può essere recepita dal territorio interessato come una positiva e virtuosa immissione di liquidità, si rivela, invece, nel tempo un fattore che indebolisce progressivamente la rete produttiva e imprenditoriale sana poiché frutto di logiche di mercato falsate che innescano una inesorabile inquinamento economico vizioso”
spiega la Dia citando il rapporto della Banca d’Italia.
Al riguardo ancora la Banca d’Italia precisa che
“…le province che sono state oggetto di una più significativa penetrazione mafiosa hanno registrato negli ultimi cinquanta anni un tasso di crescita del valore aggiunto significativamente più basso”.
Il rapporto specifica ancora che secondo recenti stime effettuate “… si può calcolare che un azzeramento dell’indice di presenza mafiosa nel Mezzogiorno si assocerebbe ad un aumento del tasso di crescita annuo del PIL dell’area di 5 decimi di punti percentuali (circa il doppio rispetto all’analogo esercizio per il Centro Nord)”. Peraltro la presenza mafiosa su un territorio “…incide sulla qualità della forza lavoro e sull’accumulazione di capitale umano. Un mercato del lavoro depresso dalla presenza delle mafie e la possibilità di perseguire carriere criminali può scoraggiare l’investimento in istruzione e incentivare i giovani più capaci ad emigrare”.
I legami corruttivi che connettono i gruppi criminali alla pubblica amministrazione incidono sulla spesa pubblica a svantaggio dell’interesse generale e comportano un minore sviluppo economico. La Banca mette a confronto i differenti risultati prodotti dall’elargizione di fondi pubblici destinati alla ricostruzione di aree colpite da calamità naturali. Si legge infatti come
“…l’ingente afflusso di trasferimenti pubblici per far fronte alle spese di ricostruzione a seguito di disastrosi terremoti (quello del Friuli Venezia Giulia e quello dell’Irpinia) ha sortito effetti opposti nelle due aree: una maggiore crescita economica (rispetto a quella che si sarebbe verosimilmente realizzata in assenza del terremoto) in Friuli e una minore crescita, al contrario, in Campania” e ciò in ragione del “…maggior grado di distrazione dei fondi pubblici (che furono di entità invece comparabile)”.
Sulla questione la Direzione Investigativa Antimafia riporta un elaborato redatto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano sul contesto criminale lombardo evidenzia come:
“…il fattore critico di successo delle mafie capace di distinguerle da altre forme di criminalità organizzata è il cosiddetto capitale sociale, ovvero l’insieme delle relazioni con il mondo esterno. Ciò che distingue la criminalità comune da quella mafiosa è proprio la capacità di quest’ultima di ‘fare sistema’, creando un medesimo blocco sociale con esponenti della classe dirigente locale, rapporti tra le classi sociali e costruendo legami di reciproca convenienza”
Inoltre nel documento si legge che “…è possibile evidenziare una convergenza di interessi delle tre principali organizzazioni criminali di stampo mafioso nelle attività di riciclaggio, facenti capo ad un’unica “cabina di regia”. La presenza di collegamenti tra le tre organizzazioni è stata resa possibile, come emerso mediante le indagini della Dia, dalla presenza di figure di “uomini cerniera” che si pongono come intermediari tra i diversi gruppi criminali nonché di vere e proprie strutture criminali che intercettano le risorse dei tre principali gruppi criminali, facendole confluire in investimenti in attività apparentemente lecite.
“Tale sistema finalizzato al riciclaggio risulta particolarmente allarmante in quanto permette la creazione e il successivo consolidamento di reti criminali ‘trasversali’, estendendo il raggio d’azione criminale anche su contesti territoriali nuovi ovvero fino a quel momento scevri dalla presenza mafiosa”.
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