La soldatessa Usa che ha investito un 15enne a Pordenone potrebbe evitare il processo in Italia

La soldatessa Usa che ha investito un 15enne a Pordenone potrebbe evitare il processo in Italia

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Se si guarda agli episodi precedenti, hanno spiegato numerosi esperti intervenuti sugli organi di stampa, è difficile ricordarne uno nel quale il processo si sia svolto in Italia. E’ andata così per la strage del Cermis del 1998, quando un aereo militare Usa tranciò i cavi della funivia provocando 20 vittime. Un’eccezione venne fatta per un caso di stupro di gruppo ai danni di una 14enne da parte di un aviatore americano sempre di Aviano

Se processo ci sarà, probabilmente non si terrà in Italia. Lo dicono i Trattati internazionali e anche i precedenti (scandalosi aggiungiamo noi) nella storia della Nato. La militare 20enne americana di stanza alla base di Aviano che con l’auto ha travolto e ucciso il 15enne Giovanni Zanier nella notte tra sabato e domenica, a Porcia, in provincia di Pordenone, sarà giudicata, nel caso in cui i giudici decidano per il rinvio a giudizio con l’accusa di omicidio stradale, nel suo Paese.

Lo prevedono gli accordi tra Stati facenti parte della Nato, lo si legge in diversi trattati dell’Alleanza che trattano la questione, come quello di Londra del 1951, e soprattutto è diventata ormai una prassi adottata nella stragrande maggioranza dei casi simili avvenuti dalla nascita del Patto Atlantico. Peccato poi che i processi finiscano quasi sempre a tarallucci e vino.

Se si guarda agli episodi precedenti infatti, hanno spiegato numerosi esperti intervenuti sugli organi di stampa, è difficile ricordarne uno nel quale il processo si sia svolto in Italia. Per la strage del Cermis del 1998, quando un aereo americano, volando senza autorizzazione a una quota troppo bassa, tranciò i cavi della funivia provocando 20 morti, l’allora capitano Richard J. Ashby, che era al comando del mezzo, e il suo navigatore furono sottoposti a processo negli Stati Uniti e assolti. In quell’occasione, come in molte altre, il ministro della Giustizia italiano invocò il difetto di giurisdizione consentendo all’indagato di essere giudicato nel proprio Paese.

Nel 2002 si trova un esempio contrario al trend storico, dovuto soprattutto alla gravità e all’efferatezza del reato commesso. Un aviere della stessa base di Aviano venne accusato, con tre cittadini albanesi, di violenza sessuale su una 14enne. L’allora ministro della Giustizia firmò comunque la rinuncia al processo in Italia, decisione poi ribaltata grazie anche alle proteste del legale della ragazza.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Giustizia