Le cosiddette democrazie liberali non ci hanno proprio preso, né sul finale del conflitto, né sul crack economico russo e neppure sul tutti contro Mosca. Mentre milioni di italiani sono al collasso
Di Maurizio Guandalini, Huffingtonpost.it
Milioni d’italiani hanno dichiarato ma non versato le imposte per quasi dodici miliardi di euro. Nel frattempo l’Agenzia delle Entrate sta inviando ventotto milioni di cartelle esattoriali (gli stop di luglio e agosto al recapito delle comunicazioni d’irregolarità e lettere di compliance sono uno specchietto delle allodole, il grosso è già stato taggato ai contribuenti nei mesi precedenti). Chiaro che la questione fiscale rimane irrisolta. Quanto gli aiuti agli italiani per il caro-bollette. I 200 euro sono stati accreditati ai pensionati. Le partite Iva stanno in attesa, da giugno, che il governo istituisca un ‘fondo’. Quando riceveranno il bonus, non si sa. I dipendenti hanno dovuto produrre un’autocertificazione. Scartoffie. Andante mendicante. La lentezza del bradipo. Al contrario servirebbe rendere palpabile l’aiuto. Invece si assistono a ripetuti annunci di stanziamenti miliardari che fatichiamo comprendere a chi vanno. Soprattutto se apprendiamo che nel decreto aiuti per un errore è stato tagliato il bonus alle imprese.
I partiti parlano una lingua loro. Campo largo, stretto, bislungo, il centro, il 2% in più e in meno dei sondaggi. Affidati al precetto guida, ipocrita, “prima di tutto i problemi degli italiani” che, a loro volta, disinteressati, s’intruppano nella quota monstre degli astenuti, non rispondo, non so. È l’Italia che può esplodere in autunno, stando all’analisi del capo della CGIL, Landini. I poveri dell’inflazione non sono solo quei cinque milioni che continuano ballare nelle statistiche e che sicuramente già ricevono diversa assistenza da governo e comuni. La povertà è a estuario. È tra i redditi di 15-20-25 mila euro annui. Quella è la sacca da proteggere. Aggiornando tabellari e soglie ferme a quando il pane era polenta. Per il resto siamo nella sindrome del rattoppo. Una porta girevole con dentro l’Italia e i suoi problemi.
Basterebbe spuntare le parole del governatore della Banca d’Italia, Visco. Non ci sarà crescita se continua la guerra. Non ci sarà crescita senza il gas russo (non a caso la Germania sta smarcandosi preservando l’approvvigionamento indispensabile per la sopravvivenza della nazione). Il giudizio degli italiani nell’urna delle politiche del 2023 sarà su quello che il governo (e quindi i partiti) hanno fatto per fermare la guerra, la precondizione per bloccare la spirale del caos economico in corso. E quello che sarà fatto per alleviare le sofferenze del caro-tutto contemporaneo.
È arrivato il momento di cambiare paradigma. Le cosiddette democrazie liberali non ci hanno proprio preso, né sul finale del conflitto, né sul crack economico russo e neppure sul tutti contro Mosca. Qualche leader di partito, italiano, coraggioso, lo dica ad alta voce. Senza vergogna. Senza reticenze. L’escalation della guerra l’abbiamo assecondata nei mesi precedenti seguendo un unanimismo intenzionato a procedere con i paraocchi. Chiudendo qualsiasi finestra possibile di negoziato. Tralasciando la variante della diplomazia, che è, lo ricordiamo, l’arte di dire le cose senza offendere. L’Europa ha fatto l’esatto contrario. Brandendo un vessillo verbale spinto inopportuno. Che vuol dire insistere che si farà la pace solo alle condizioni dell’Ucraina? Ma come? L’Europa partecipa alla guerra e non può mettere parola? E ora che Zelensky afferma di riconquistare la Crimea, che si fa, l’Europa asseconda ab illo tempore i desiderata del Presidente ucraino?
La situazione dell’economia generata dalle sanzioni è immediatamente attaccata al quadro politico descritto sopra. Ci sono responsabilità previsionali dell’Occidente. Sanzionare la Russia che è il più importante produttore di materie prime senza prevedere le ripercussioni che tutto questo avrebbe generato, dimostra il dilettantismo della classe dirigente. A voler dirla tutta il vero economista si è dimostrato Putin che è stato capace a ridurre i danni per la Russia ripercuotendo sull’Europa il peggio. I nostri provvedimenti sono balbettii stanchi e smarriti. Tralasciamo il tetto al prezzo del gas che non si farà, Se stiamo al recinto italiano è un rebus il dettaglio della situazione (la Francia in condizioni migliori rispetto a noi, ha nazionalizzato la più grande compagnia elettrica, l’Italia fatica a raggranellare denaro da quei cinquanta miliardi di extraprofitti). C’è qualche accordo per l’approvvigionamento e due barche che fanno da rigassificatori, ma è lo stesso il Ministro della Transizione Ecologica a non credere alle magnifiche sorti e progressive. Andremo incontro al razionamento di gas e luce.
Si osservi la Libia, a proposito di guerre irrisolte (dove centra il pressapochismo e la marginalità strategica dell’Italia), e di forniture di gas e petrolio alternative alla Russia, dove il recente assalto e incendio al Parlamento di Tobruk ha fatto schizzare all’insù il prezzo del petrolio. Così come, a proposito della fedina di affidabilità dei nuovi fornitori africani, registriamo la continua minaccia dell’Algeria (che ha già chiesto all’Unione europea di aumentare il costo del gas) a sospendere le forniture di gas alla Spagna per il sostegno degli iberici al Marocco sulla sovranità dell’ex colonia del Sahara occidentale.
Quando vuoi fare una guerra di civiltà, io sono meglio di te, dando lezioni su democrazia e libertà, per altro con daffare intriso di spocchia e ipocrisia, perché poi ci si riduce a mendicare in Paesi per nulla esempi di illibatezza e luminosità democratica, ci fai una brutta figura. Per questo è ora che i leader politici italiani, il governo, l’Europa mettano un punto. Finiamola qui.