Di Gianni Dragoni
La macchina funziona così. All’inizio di ogni anno il presidente del Consiglio stabilisce la ripartizione dei fondi stanziati dalla legge di bilancio dello Stato tra il Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza che è l’organo di coordinamento dei servizi segreti, e le due agenzie operative. Queste sono l’Aise, l’agenzia per la sicurezza esterna che deve scoprire le minacce dall’estero, le spie straniere e l’Aisi, il servizio segreto interno, che si occupa in particolare di antiterrorismo. Il presidente del Consiglio decide anche come ripartire i soldi tra spese ordinarie e fondi riservati.
Questo è il bilancio dei servizi segreti, che viene comunicato al Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, ma tutti i dati per legge rimangono segreti.
Una cifra, ufficiale, la troviamo spulciando il bilancio dello Stato. Perché la legge di riforma del 2007 stabilisce che nello stato di previsione del ministero dell’Economia venga indicata la spesa per il “Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica” (Sisr), composto da Dis, Aise e Aisi.
Questa spesa era di 645,76 milioni di euro all’anno nel 2011 e nel 2012, poi con il governo Monti è stata ridotta a 600 milioni nel 2013. Nel 2014 è risalita a 605 milioni. Dal 2017 è aumentata in maniera sensibile ogni anno: 634,6 milioni, diventati 679,4 milioni nel 2018, 740 milioni nel 2019, 791 milioni nel 2020 e 872 milioni nel 2021. Per quest’anno la legge di bilancio ha previsto un ulteriore incremento a 915 milioni (+4,9%), che dovrebbero diventare 945,1 milioni l’anno prossimo e, secondo le previsioni, 959 milioni nel 2024.
Insomma, se si esclude il governo Monti, per i servizi segreti la spesa pubblica aumenta ogni anno, anche quando si tagliano molte altre spese.
Stando ai dati del ministero dell’Economia negli ultimi dieci anni per i servizi segreti lo Stato ha speso 7 miliardi e 53 milioni. Questa è la spesa ufficiale, perché ci potrebbero essere altri costi che non si vedono nel bilancio. Per esempio tra le spese telefoniche. E oltre al Dis e alle due agenzie ci sono i “reparti” di informazioni che rispondono allo Stato maggiore della Difesa, il Ris e il Ruc. Il loro costo si aggiunge alle cifre visibili nelle tabelle del ministero dell’Economia. Da poco è operativa anche la nuova Agenzia per la cybersecurity nazionale, per la quale sono già stanziati 405 milioni in cinque anni.
Rilevanti le spese per la nuova sede dei servizi segreti. Nel 2008 il governo Berlusconi ebbe l’idea di concentrare in una sede unica tutta la parte amministrativa del Dis, dell’Aise e dell’Aisi. Così la presidenza del Consiglio ha preso in affitto un enorme palazzo dalla Cassa depositi e prestiti a Roma nel quartiere Esquilino, in piazza Dante. Nel 2012 sono cominciati i lavori di ristrutturazione, sono stati scavati alcuni piani sottoterra, le finestre schermate, 60mila metri quadrati di uffici, come 60 campi di calcio. L’appalto lo ha vinto la Cmc di Ravenna, una delle più importanti cooperative rosse poi finita in concordato preventivo, per 82 milioni. I lavori sono durati sette anni. La spesa totale è segreta, la stima più prudente è che i lavori siano costati sui 100 milioni.
Il palazzo ospita oltre mille persone, soprattutto del Dis, ma non c’è posto per tutti gli uffici centrali dei servizi segreti. Le due agenzie hanno preferito rimanere dov’erano: l’Aise a Forte Braschi, l’Aisi a piazza Zama.
I servizi segreti hanno anche una compagnia aerea, si chiama Cai, Compagnia aeronautica italiana, base a Ciampino. E’ una società per azioni la cui proprietà è schermata, intestata a una fiduciaria, la Siref, del gruppo bancario Intesa Sanpaolo. I ricavi si aggirano sui 20 milioni l’anno, il bilancio è in rosso fisso: -2,07 milioni nel 2020. Dal 2015 al 2020 la Cai ha perso quasi 23 milioni. Adesso ha anche una scuola per insegnare l’uso dei droni.
E’ segreto anche il numero degli “007” italiani. Secondo una stima sarebbero diecimila. Molti appartengono alle forze armate o alla polizia, lo stipendio ufficiale è di due-tremila euro netti al mese. A questo si aggiunge la «cravatta», un’indennità nata come rimborso per l’acquisto di vestiti al posto delle divise. Può arrivare a diecimila euro al mese. Per gli informatori si usano i fondi riservati. In Iraq per l’intelligence in tre anni sono stati spesi circa 30 milioni di euro.
Con quello che ci costano, dai servizi segreti ci aspettiamo che scoprano spie nemiche, organizzazioni sofisticate capaci di manipolare l’opinione pubblica, che sventino tentativi di eversione.
A leggere il rapporto sulla “disinformazione nel conflitto russo-ucraino” inviato dai servizi al Copasir, quello pubblicato dal Corriere della sera il 5 giugno nell’articolo in cui si parla di una rete di propaganda filorussa in Italia, vediamo che fanno un lavoro da giornalisti alle prime armi basandosi su fonti pubbliche.
E riescono perfino a sbagliare il nome del presidente del Copasir, Adolfo Urso che viene chiamato Alfonso.
Come giornalisti gli mettiamo un brutto voto, quattro meno meno. Come servizi segreti il lavoro rimane segreto. E forse è meglio per loro che rimanga così, senza voto.
Tratto da: michelesantoro.it, Antimafiaduemila
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