di Gilberto Trombetta
– 2 miliardi di euro di tagli al personale sanitario tra il 2010 e il 2018.
– 2.545 euro di spesa pubblica pro capite per la salute contro i 5.289 della Norvegia e i 5.056 della Germania (grafico).
– 42.888 professionisti a tempo indeterminato in meno tra il 2010 e il 2018, una riduzione del 6,2% (tabella). In alcune Regioni il taglio complessivo è stato del 16,3%.
– Le Regioni sottoposte a piani di rientro hanno dovuto ridurre personale medico e infermieristico rispettivamente del 18% e dell’11% tra il 2008 e il 2018.
– Nel 2016 il rapporto di infermieri per 1.000 abitanti è stato di 5,6 contro l’8,4 della media europea.
– L’età media è passata dai 43,5 anni del 2001 ai 50,7 del 2017. Una conseguenza del blocco del turn over.
– Il gettito complessivo dovuto ai ticket è passato dagli 1,8 miliardi di euro del 2008 ai 3 del 2018.
– La percentuale di cittadini che hanno dovuto rinunciare alle visite e alle cure per il costo eccessivo è passata dal 3,9% del 2008 al 6,5% del 2015. Percentuale che per quanto riguarda il 20% più povero della popolazione è passata invece dal 7,1% del 2004 al 14,5% del 2015.
– Mentre la spesa pubblica pro capite per la salute è scesa dai 2.266 dollari del 2012 ai 2.235 del 2018, quella privata pagata direttamente dai cittadini è salita da 710 dollari a 776 nello stesso arco di tempo (passando dal 2,1% del PIL al 2,3%).
– Il numero di posti letto per 1.000 abitanti è passato dai 3,9 del 2007 (già sotto la media UE di 5,7) ai 3,2 del 2017. Nel 2017 il numero di posti letto in strutture per cure a lungo termine è stato di 4,2 per 1.000 abitanti 2017, contro i 9,8 della Francia, gli 11,5 della Germania e gli 8,2 nel Regno Unito.
Sono gli sconfortanti dati che emergono dal rapporto “Lo Stato della salute in Italia” pubblicato in questi giorni dall’Ufficio parlamentare del bilancio*.
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Insomma lo Stato taglia la spesa per il SSN da anni. I medici invecchiano e diminuiscono, così come gli infermieri. Spariscono ospedali e posti letto. Così le persone si curano di meno oppure pagando di tasca propria, anche indebitandosi. E intanto la sanità privata cresce e prospera sulle spalle dei cittadini.
Anche grazie alla complicità del welfare aziendale.
«Queste misure favoriscono un sistema categoriale-corporativo alternativo al servizio pubblico, che si dispiega anche fuori dal campo dei servizi integrativi. Assecondare questa tendenza e contemporaneamente continuare nella compressione del finanziamento del servizio pubblico potrebbe mettere in discussione l’universalità del sistema vigente».
Sono i prevedibilissimi effetti di quasi 30 anni di politiche di austerità, più o meno intense.
Dalla firma del trattato di Maastricht l’Italia è infatti in avanzo primario (poco meno di 800 miliardi di euro…). Dopo aver svenduto il grosso della sua industria di Stato, l’IRI, mentre gli altri non hanno fatto altrettanto.
Siamo sotto costante minaccia della UE ogni volta che proviamo ad aumentare la pesa pubblica di cifre oggettivamente ridicole rispetto alle vere necessità del Paese.
Mentre il Giappone annuncia investimenti e spesa a deficit per più di 100 miliardi di euro. L’equivalente di due Piani Marshall praticamente.
Da noi invece la BCE non fa neanche il minimo indispensabile per essere considerata davvero una Banca Centrale, cioè garantire senza se e senza ma i titoli di Stato e la tenuta del sistema bancario.
Per quello devono inventarsi meccanismi pericolosi e contorti come il MES.
In grado di aiutare qualcuno (la Germania) a spese e a scapito di qualcun altro (l’Italia).
La verità è che questo Paese non può avere un futuro degno di questo nome dentro la prigione unionista.
Fonte: L’Antidiplomatico