Report, perquisizioni Dia dopo il servizio su Capaci e Delle Chiaie: “Verifiche su genuinità delle fonti”. Ranucci: “Sequestrati pc e telefono”
Tratto da: Il Fatto Quotidiano
A darne notizia sui social è lo stesso conduttore. Come raccontato dal Fatto, a distanza di trent’anni i pm nisseni e la Direzione nazionale antimafie sono tornati a indagare sulla “pista nera” a proposito dell’attentato mafioso che uccise il giudice Giovanni Falcone. In un lungo comunicato, il procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca precisa che la perquisizione “non riguarda in alcun modo l’attività di informazione” del giornalista.
Uomini della Direzione investigativa antimafia, su mandato della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, hanno perquisito l’abitazione dell’inviato di Report Paolo Mondani e la redazione del programma di Rai 3 condotto da Sigfrido Ranucci, sequestrando pc e telefono del giornalista. A darne notizia sui social è stato lo stesso conduttore: “Lo scopo è quello di sequestrare atti riguardanti l’inchiesta di ieri sera (lunedì 23 maggio, ndr) sulla strage di Capaci, nella quale si evidenziava la presenza di Stefano Delle Chiaie, leader di Avanguardia nazionale, sul luogo dell’attentato. Gli investigatori cercano atti e testimonianze su telefonini e pc”, dice. “Da parte nostra c’è massima collaborazione. Siamo contenti se abbiamo dato un contributo alla magistratura per esplorare parti oscure”, commenta in seguito Ranucci all’Ansa. “Il collega aveva già avuto un colloquio con il procuratore. Noi siamo sempre stati collaborativi con la giustizia, pur garantendo il diritto alla riservatezza delle fonti”. E sottolinea che “il decreto di perquisizione riporta la data del 20 maggio, cioè tre giorni prima della messa in onda del servizio. Ovviamente abbiamo messo al corrente l’ufficio legale, l’amministratore delegato Fuortes e il nostro direttore”.
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Proteste di Fnsi e Usigrai
“Questo è… e non va bene”, il commento del presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, che pubblica uno screenshot del post di Ranucci. Duro anche il commento del presidente dell’Usigrai (il sindacato dei giornalisti del servizio pubblico) Vittorio Di Trapani: “Sentenze della Cassazione e della Cedu hanno già acclarato che sequestrare pc e telefonini dei giornalisti, ancor di più con copie “indiscriminate” dei contenuti, è illegittimo. L’unico risultato che resterà della perquisizione a Report è il timore delle fonti di essere svelate”, scrive su Twitter. “Ci auguriamo che a nessuno venga oggi in mente di “molestare” Report e la sua redazione”, scrive invece il presidente della Federazione nazionale della stampa (Fnsi) Beppe Giulietti. “Dopo la puntata su Capaci sarà il caso di lasciare in pace la redazione, Paolo Mondani e di perquisire, invece, quelli che, da trenta anni, sono riusciti a restare in una ben protetta oscurità. Questa mattina saremo nella redazione di Report per decidere iniziative a tutela delle fonti e del segreto professionale”.
Le nuove indagini sulla “pista nera”
A distanza di trent’anni i pm nisseni e la Direzione nazionale antimafia sono tornati a indagare sulla “pista nera” a proposito dell’attentato mafioso che uccise il giudice Giovanni Falcone; al centro degli accertamenti ci sono colloqui investigativi confidenziali di inizio 1992, non utilizzabili processualmente, in cui un pentito e una testimone hanno parlato di un “sopralluogo” dell’estremista di destra Delle Chiaie a Capaci, un mese prima della strage. Secondo queste testimonianze Delle Chiaie incontrava un boss della mafia per poi cercare esplosivo in una cava. Il pentito, semisconosciuto e morto da tempo, è Alberto Lo Cicero, un falegname insospettabile, autista del boss Mariano Tullio Troia. La testimone protetta è la sua ex compagna, Maria Romeo, che è ancora in vita ed è stata intervistata lunedì sera da Report. Nella puntata parla anche l’ex brigadiere dei Carabinieri Walter Giustini, che raccolse le confidenze di Lo Cicero; sia a Report che al Fatto Giustini ha raccontato che il pentito parlò di strani movimenti intorno a Capaci prima della strage, e della presenza di uomini di spicco di Cosa nostra che facevano presagire “qualcosa di eclatante“. E che mise gli investigatori sulle tracce di Salvatore Biondino, l’autista del “capo dei capi” Totò Riina, che quindi si sarebbe potuto arrestare prima delle esplosioni (fu catturato solo nel gennaio 1993).
Tratto da: Il Fatto Quotidiano
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