“Oggi Falcone non potrebbe muovere un passo se non dietro autorizzazione del capo del suo ufficio, continuerebbe a essere sommerso di processetti”. Sono state queste le parole dette all’Agi dal consigliere togato al Csm Sebastiano Ardita in merito allo stato dell’autonomia e all’indipendenza dei magistrati a trent’anni di distanza dalle stragi del 1992. Autonomia di cui, secondo Ardita, Falcone, oggi, ne avrebbe avuta molto poca: “Stavolta non per una scelta maliziosa e contestabile del capo del suo ufficio – e dunque da lui rifiutabile – ma sulla base di un principio sancito nelle nuove riforme, rispetto al quale se non si adeguasse verrebbe sottoposto ad azione disciplinare“.
Secondo Ardita il ruolo dei magistrati “è in via di costante ridimensionamento, in misura direttamente proporzionale rispetto al tempo trascorso dalle stragi. Il che vuol dire che viene ‘smaltita’ la memoria delle condizioni che portarono a quella situazione di strapotere di Cosa nostra, che causarono gli attacchi del 1992. E viene sostituita con una memoria di comodo di un Falcone eroe silenzioso e amico di tutti. Mentre era invece un uomo solo, avversato da molti e tutt’altro che silenzioso, grazie a Dio“.
In quel periodo Falcone era stato delegittimato e poi isolato. Inoltre aveva ricevuto diverse bocciature: il CSM a gennaio 1989 aveva eletto Antonino Meli al suo posto come nuovo dirigente dell’ufficio istruzione del tribunale di Palermo, era poi stato bocciato per la carica dii Alto Commissario per la lotta alla mafia, in seguito i sui colleghi non lo avevano votato neanche per la sua candidatura per Consiglio Superiore della Magistratura. Nel 1989 era stato nominato procuratore aggiunto di Palermo ma solo perché gli altri candidati avevano ritirato la candidatura.
Così era stato il percorso di Giovanni Falcone fino alla nomina agli Affari penali del ministero della Giustizia.
Un metodo rievocato all’indomani della scelta del nuovo procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, raggiunta dopo un forte dibattito sul nome di Nicola Gratteri, capo della procura di Catanzaro, che da anni sta conducendo una visione investigativa, sulla ‘Ndrangheta e i suoi aspetti più deviati. Secondo Ardita, “si tratta di situazioni e uomini diversi. Rimane l’amarezza per la bocciatura di Gratteri che è oggi – tra coloro che svolgono funzioni giudiziarie – il magistrato italiano più conosciuto al mondo per l’impegno antimafia. Il suo essere antisistema – come lo era Falcone quando predicava che nel rapporto tra mafia e potere era l’origine di ogni male – certamente non gli è giovato. Il potere ha paura che si dica che la mafia esiste perché ha un rapporto con esso, e che finirebbe il giorno stesso in cui quel rapporto cessasse. Il potere ha dunque istintivamente – ma spero immotivatamente – paura delle intuizioni di Pio La Torre e di Falcone”.
Tratto da: Antimafiadumila
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