Dall’Ucraina all’Arabia Saudita, si vende ai Paesi in guerra
Non bastano gli scioperi dei portuali e le proteste dell’opinione pubblica, non basta l’art 11 della Costituzione e la legge 185 del 1990. Il governo Draghi tira dritto. Mentre a breve sarà varato il secondo pacchetto di armamenti per l’Ucraina (Paese in guerra dal 24 febbraio 2022), viene presentato il rapporto sull’export bellico dell’Italia del 2021. Con 4,66 miliardi di incassi, dittature e Paesi in guerra figurano tra i nostri clienti più importanti.
Dopo il primo pacchetto di aiuti militari a Kiev fornito dal governo di Mario Draghi, ne arriverà a breve un secondo, forse la prossima settimana. Anche questa volta tutte le informazioni, cifre comprese, sono secretate. Lo riporta la Repubblica. Nel pacchetto verranno probabilmente inseriti blindati ruotati, missili anti-nave, armi anticarro e munizioni. Nonostante le ingenti risorse belliche che vari Paesi occidentali, Stati Uniti in testa, elargiscono a piene mani all’esercito ucraino, quelli da noi inviati sarebbero già stati utilizzati. Questo il motivo del secondo invio di aiuti militari.
Ora si pone una questione: la legge 185 del 1990 vieta l’esportazione di armi italiane a Paesi belligeranti. E l’Ucraina ricade proprio in questa categoria di divieto. Perciò alla luce dell’art 11 della Costituzione secondo cui l’Italia ripudia la guerra e della legge 185, non si potrebbe inviare materiale bellico a Kiev.
L’invio di armi all’Ucraina, deciso dal governo Draghi, avviene tramite decreto interministeriale firmato dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, dal ministro degli Affari Esteri Luigi Di Maio e dal ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco. Il tutto senza l’approvazione del Parlamento che di fatto si è auto-esautorato dei poteri di controllo relativi all’invio di armi.
Ma come si è arrivati a questo? Il 25 e il 28 febbraio 2022, il Consiglio dei Ministri ha approvato due decreti-legge che introducono misure urgenti sulla crisi in Ucraina (DECRETO-LEGGE n. 14, del 25 febbraio 2022, Disposizioni urgenti sulla crisi in Ucraina – DECRETO-LEGGE, n. 16, del 28 febbraio 2022, Ulteriori misure urgenti per la crisi in Ucraina). I decreti applicano “lo stato di emergenza” e prevedono “una norma abilitante che, dopo una preventiva risoluzione delle Camere, consente al Ministro della difesa di adottare un decreto interministeriale per la cessione alle autorità governative dell’Ucraina di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari”, si legge sul sito del governo.
L’attesa “risoluzione delle Camere” è stata approvata a larghissima maggioranza (coalizione di governo assieme a Fratelli d’Italia) il 1° marzo 2022 e ha così delegato all’esecutivo la decisione per quanto riguarda l’invio di armi che, come detto, sta avvenendo con semplice decreto ministeriale.
“C’era fino a ieri un divieto assoluto di invio di armi, non avremmo potuto inviare armi all’Ucraina (per la legge 185 e l’art 11 della Costituzione, ndr)” ha spiegato Gaetano Azzariti, professore di diritto costituzionale alla Sapienza di Roma, intervistato da il Riformista. “In più questo decreto (quello del 28 febbraio, ndr) ha fatto sostanzialmente sparire un ruolo di controllo del Parlamento – ha continuato il Professore – perché ha delegato ai ministri competenti, esteri e difesa, tutte le attività riguardanti la cessione delle armi […]È una scelta politica certamente non dovuta e contraria alla lettera della Costituzione. È l’idea politica che la pace si fa con la guerra”. Nell’intervista il docente ha criticato le posizioni prese dal presidente della Corte costituzionale, Giuliano Amato, secondo cui la scelta del governo è in linea con il diritto vigente. “L’articolo 78 dice che è il Parlamento a dover concedere al governo i poteri necessari. In caso di guerra. E noi non siamo ‘in caso di guerra’.”, ha ribadito Azzariti, ma con questa scelta “il Parlamento si spoglia dei suoi poteri. […] È il Parlamento che dice al governo: fai tu e io non voglio vedere. Questa è la cosa sconcertante”.
E intanto i convogli di armi made in Italy confluiscono in Ucraina.
Il primo problema è che le forniture belliche continuano a mantenere vivo il conflitto tra l’esercito ucraino e quello russo. Questo va ovviamente a danno della popolazione civile che si trova coinvolta negli scontri. Poi c’è la questione di chi riceve e utilizza le armi. E le istituzioni italiane su questo punto non hanno certezza. È risaputo infatti che molte sono state date a civili privi dell’addestramento militare e della conoscenza delle norme previste in guerra. Il risultato è stato il far west. Inoltre i civili, siccome armati, diventano bersaglio dell’esercito di Mosca. Infine ci sono i mercenari stranieri i quali sono l’elemento imprevedibile del conflitto.
Ma le politiche di guerra del Premier italiano non finiscono qui. Sono riprese anche le esportazioni di armi verso i Paesi del Medio Oriente. E’ quello che emerge dalla “relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. Il documento è annuale e quello per il 2021 è stato presentato il 5 aprile da Mario Draghi al Parlamento. Questa volta è il Fatto Quotidiano a riportare la notizia.
Arabia Saudita e Emirati Arabi sono tra i beneficiari di queste vendite. Questi Paesi mediorientali sono attivamente coinvolti nel conflitto in Yemen che dal 2015 vede contrapporsi gli Houthi, ribelli di religione sciita con una forte influenza nel paese, e il governo centrale sostenuto dai sauditi. In questo conflitto che va avanti da ben 7 anni, la comunità internazionale è come assente. Anzi, arrivano le bombe dell’occidente che le monarchie del Golfo usano contro gli Houthi.
Lo Yemen è sempre stato un Paese povero e la guerra non ha fatto altro che portare una crisi sanitaria e alimentare. Migliaia sono i morti, 4 milioni i profughi. Inoltre i ribelli arruolano anche tantissimi bambini. Secondo un rapporto dell’UNICEF “10.000 bambini sono stati uccisi o mutilati dall’inizio dei combattimenti nel marzo 2015”. Parliamo quindi non di una guerra tra due eserciti, ma di una guerra tra eserciti professionisti da un lato e la popolazione civile dall’altro. E tutto questo semplicemente perché l’Arabia Saudita vuole determinare chi deve governare nel vicino Yemen.
Proprio a causa di questa guerra, il governo di Giuseppe Conte aveva impedito, ad inizio 2021, l’export di armi ai belligeranti. Ma con Mario Draghi la giostra è ripartita con contratti da 47,2 milioni per i sauditi e 56,1 milioni per gli emiratini. Nel pacchetto per Riyad ci sarebbero stati anche missili, siluri, razzi e bombe.
Sempre nel 2021 il nostro Paese ha esportato ben 813,5 milioni di euro di armamenti verso il Qatar, il nostro miglior cliente. Bisogna ricordare che il Paese, assieme anche all’Arabia Saudita, ha legami con il terrorismo islamico di matrice sunnita. I due avrebbero finanziato e armato addirittura l’ISIS. Persino il Pakistan, notoriamente sostenitore di gruppi estremisti islamici, e l’Egitto, sotto dittatura militare, avrebbero ricevuto le armi italiane. Il nostro Paese rifornisce anche gli alleati occidentali, ad esempio abbiamo venduto armi agli Stati Uniti d’America per 762 milioni di euro. Il nostro alleato statunitense, nonostante la parvenza democratica e la facciata angelica, è la Nazione più guerrafondaia in assoluto. Dopo la Seconda Guerra Mondiale ha provocato più di 13 guerre nel mondo e appoggiato innumerevoli colpi di stato sia in Sud America che nel resto del Pianeta. Uno degli ultimi in ordine temporale è quello del 2014 in piazza Maidan, a Kiev, grazie al quale sono saliti al potere governi di estrema destra legati a partiti e milizie neonaziste. Il governo Zelensky è semplicemente il proseguimento di tale strategia necessaria alle politiche di Washington.
Nel 2021 l’Italia ha esportato armi per 4,66 miliardi di euro e importato per 679 milioni. In rialzo rispetto al 2020, anche se più basse del triennio 2015-2017 con Matteo Renzi e Paolo Gentiloni al governo, quando ci fu un vero e proprio boom di commesse militari.
Le aziende che in Italia lucrano sul business militare sono però sempre le stesse. Al primo posto svetta la Leonardo che rappresenta il 43,5% del mercato. E’ bene ricordare che il gruppo Leonardo produce aerei, elicotteri e droni sia civili che militari, oltre a un vasto assortimento di cannoni e sistemi d’arma che vengono montati su velivoli, veicoli e navi. I veicoli militari sono invece prodotti dalla Iveco Defence Vehicles, la sezione militare dell’Iveco, al secondo posto con il 23,5%. Poi troviamo con il 5,2% la MBDA Italia, sezione italiana del colosso francese MBDA, che produce missili e sistemi di difesa. Infine la Avio Aero, sezione italiana della statunitense GEAviation (a sua volta parte del gruppo General Electric Co). La Avio, con il 3,9% delle quote di mercato, produce componenti e sistemi per l’aeronautica.
L’industria delle armi è da sempre un grande business che frutta alle imprese e ai governi ingenti guadagni.
Siamo riusciti a dare un prezzo alle armi, un prezzo alla morte. Si perché le armi sono strumenti di morte e non servono a nient’altro. Ma allora la domanda che viene da porsi è: quanto vale, per questi signori, la vita umana?
Tratto da: Antimafiaduemila
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