La morte della diplomazia
Tratto da un articolo di Lorenza Vita su Inside Over
L’Italia espelle 30 diplomatici russi. Ad annunciarlo il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che da Berlino ha dichiarato; “il Segretario Generale del ministero degli Affari Esteri, Ambasciatore Ettore Sequi, ha convocato questa mattina alla Farnesina, su mia istruzione, l’Ambasciatore della Federazione Russa in Italia Sergey Razov. La convocazione è servita per notificargli la decisione del Governo italiano di espellere 30 diplomatici russi in servizio presso l’Ambasciata in quanto ‘personae non grate’”. La reazione di Mosca non si è fatta attendere, con la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, che ha detto che “la Russia darà una risposta appropriata” e, sentita da Agi, la stessa ha annunciato che la Federazione espellerà i diplomatici italiani.
La misura, ha spiegato il capo della Farnesina, “si è resa necessaria per ragioni legate alla nostra sicurezza nazionale. Nel contesto della situazione attuale di crisi conseguente all’ingiustificata aggressione all’Ucraina da parte della Federazione Russa”. E sempre Di Maio ha spiegato che l’azione decisa dal governo italiano è stata fatta in coordinamento con tutti i partner europei e atlantici. Alleati che, tra l’altro, hanno iniziato da alcuni giorni ad aumentare il giro di vite nei confronti delle attività diplomatiche russe all’interno dei rispettivi Paesi. Un’ondata di espulsione di personale diplomatico senza precedenti.
Raffiche di espulsioni in tutta Europa
Solo nella giornata di ieri, il ministero degli Esteri francese aveva annunciato l’espulsione di 35 diplomatici russi “impegnati in attività contrarie agli interessi di sicurezza della Francia“. “Questa azione fa parte di un approccio europeo”, era scritto in un comunicato stampa del ministero.“La nostra prima responsabilità è sempre quella di garantire la sicurezza dei francesi e degli europei”. Notizia che il viceministro degli Esteri russo, Alexander Grushko, ha bollato come effetto di una “psicosi” che “è diventata incontrollabile anche a Parigi”.
A stretto giro di posta, anche da Berlino è arrivato l’annunciato dell’espulsione di decine di persone accusate di essere agenti al servizio dell’intelligence di Mosca. La ministra dell’Interno della Germania, Nancy Faeser, aveva detto alla Dpa che il governo aveva “selezionato 40 persone che riteniamo lavorino per i servizi segreti russi”, dichiarando quindi anche loro “persona non grata”. Per la Germania si tratta di una irrigidimento molto netto, che in parte contrasta con la politica sempre molto attenta nei confronti del Cremlino. Da diversi anni la capitale tedesca è al centro di un gioco di spie che caratterizza Berlino dagli anni della Guerra Fredda. Questo non aveva mai condotto però a un tale giro di vite nei confronti dell’attività diplomatica della Federazione Russa in territorio tedesco. La svolta del governo di Olaf Scholz, che si inserisce nel quadro di un delicato equilibrismo giocato dal suo esecutivo per evitare sanzioni su gas e petrolio, è forte ma allo stesso non deve sorprendere; sono decisioni che la Germania compie anche per evitare che dal fronte atlantico possano arrivare richieste ancora più rigide. “Abbiamo deciso che queste persone devono ora lasciare il nostro Paese il più rapidamente possibile”, ha detto Faeser; aggiungendo che “non permetteremo che questa guerra criminale di aggressione sia combattuta anche come una guerra di informazione in Germania”. La ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, da sempre contraria alla tradizionale politica di apertura di Berlino verso Mosca, ha definito le immagini di Bucha come una “testimonianza dell’incredibile brutalità delle autorità russe e di chi ne segue la propaganda” e le persone espulse “una minaccia”.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche la Danimarca, che ha annunciato l’espulsione di 15 diplomatici russi. Personale che secondo il governo di Copenaghen “ha svolto attività di spionaggio sul suolo danese”. Il ministro degli Esteri danese Jeppe Kofod, ha affermato che queste mosse servono a “mandare un chiaro segnale alla Russia che lo spionaggio sul suolo danese è inaccettabile”. Idem la Svezia, dove la ministra degli Esteri, Anna Lindh, ha annunciato la stessa misura contro tre persone che – spiega – avrebbero violato le regole della Convenzione di Vienna. Nei giorni scorsi anche la Bulgaria aveva proceduto a espellere un diplomatico russo; mentre il Belgio addirittura 21 funzionari del Cremlino, con la precisazione ad opera dell’esecutivo belga che la scelta dell’espulsione “non è una sanzione, ma è solo legata alla nostra sicurezza nazionale”.
L’Europa rischia di autosanzionarsi
Come riporta Ansa; l’ex presidente e vice capo del consiglio di sicurezza Dmitry Medvedev ha scritto sul proprio profilo Telegram che la risposta di Mosca “sarà simmetrica e distruttiva per le relazioni bilaterali. Chi hanno punito? Prima di tutto se stessi. Se continua così, sarà opportuno, come avevo scritto il 26 febbraio, sbattere la porta alle ambasciate occidentali. Sarà più conveniente per tutti. E poi finiremo per guardarci l’un l’altro in nessun altro modo che attraverso il mirino”.
L’immagine che arriva dall’Europa è dunque quella di un primo “avvertimento politico” nei confronti del Cremlino che arriva dopo quanto scoperto a Bucha. In tanti ieri, sull’onda dell’indignazione per i cadaveri ritrovati nella cittadina ucraina, avevano chiesto con urgenza un nuovo rafforzamento delle sanzioni contro la Russia. Misure in particolare riferite all’energia. L’Europa si è però mostrata inevitabilmente spaccata sul tema; dividendosi tra coloro che ritengono utile e necessario sganciarsi immediatamente da Mosca e chi no. Come chi inevitabilmente paga una dipendenza maggiore che, rotta nel giro di pochi giorni, potrebbe portare a un danno collaterale enorme nei confronti proprio dei Paesi che adottano le sanzioni. Un gioco complicato espresso soprattutto dalla Germania che, pur condannando la guerra, si è trovata costretta a ribadire che le sanzioni devono colpire la Russia ma non il Paese che le adotta. Un modo diplomatico per dire che, almeno per il momento, il flusso di gas e petrolio non può essere interrotto. Washington preme, così come l’ala più intransigente dell’Alleanza Atlantica. Ma per ora le scelte europee sembrano orientate su un giro di vite politico.
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