Articolo di Patrick Lawrence pubblicato su Consortium News il 7 febbraio 2021
Traduzione in italiano a cura di Elvia Politi per Saker Italia.
Il muro di propaganda che ci sovrasta, poggiandosi su un’insidiosa cultura dell’irrazionalità che è arrivata a pervadere il sistema di governo americano, si sta indebolendo.
Finalmente. Finalmente la nostra stampa e le emittenti televisive del mainstream mostrano segni di risveglio dalla cinica e pervasiva campagna ufficiale di propaganda che Washington conduce per oscurare le sue attività imperiali. Finalmente c’è una qualche traccia (non di più) che il mainstream possa un giorno smettere di partecipare all’attacco delle bugie e al sotterfugio antidemocratici che, ben volentieri, ha agevolato a infliggerci per gran parte di questo secolo.
Mi riferisco a due scontri degni di attenzione tra la stampa e i portavoce ufficiali del governo della scorsa settimana. Giovedì scorso, presso il Dipartimento di Stato, il diplomatico corrispondente dell’Associated Press Matt Lee ha mandato dritto al tappeto il portavoce del Dipartimento Ned Price, su uno dei “refrain” più tipici e più insensati del Governo: “Ve l’abbiamo detto, e il fatto di avervelo detto è la prova che ciò che vi abbiamo detto è vero”.
A bordo dell’Air Force One, la corrisponde del National Public Radio Ayesha Rascoe ha reagito in maniera simile quando Jen Psaki, l’addetta stampa del Presidente, ha tentato lo stesso stratagemma sulla questione delle vittime civili durante il raid di giovedì sul nascondiglio siriano di Abu Ibrahim al–Hashimi al–Qurayshi, il presunto capo dello Stato Islamico. “Cosa? Osi non credermi?” ha esclamato aggressivamente la quasi-mai-credibile Psaki.
Finalmente.
Media indipendenti come Consortium News hanno condotto una battaglia contro le continue asserzioni dei fatti-che-non-sono-fatti almeno a partire dall’espediente delle armi di distruzione di massa in Iraq e dal dirompente fiasco del Russiagate a metà del 2016. La scorsa settimana la principale agenzia e la principale emittente pubblica degli Stati Uniti si sono di fatto unificate quando hanno messo in dubbio le versioni ufficiali di due eventi chiave in assenza di prove autentiche della loro veridicità.
Non dobbiamo leggere troppo tra le righe di questi sviluppi. Associated Press e National Public Radio sono da molti anni ciarlatani paladini delle ortodossie autoritarie liberali. La richiesta di prove a sostegno delle versioni ufficiali dell’autorità in due occasioni non indica certo una qualche nuova decisione di reclamare il terreno perduto come poli di potere indipendenti.
Il significato
Non dobbiamo, però, neanche tralasciare il significato potenziale di questa svolta. Il muro di propaganda che ci sovrasta, poggiandosi su un’insidiosa cultura dell’irrazionalità che è arrivata a pervadere il sistema di governo americano, si sta indebolendo. Secondo la mia lettura, la caparbietà dei media indipendenti ha costretto il mainstream a cominciare a fare i conti con le sue stesse complicità.
Ho sempre ammirato Matt Lee come una figura di spicco tra i corrispondenti americani. E’ uno dei giornalisti più scrupolosi che operano attualmente a Washington, incrollabile nella fedeltà ai sui principi e all’etica professionale, anche se la maggior parte di quelli che lo circondando ha rinunciato ad entrambi. La sua condotta della scorsa settimana, durante uno dei briefing quotidiani con la stampa di Ned Price [in inglese], è stata eccezionale anche rispetto agli standard elevati di Lee.
Price, ex analista CIA e dichiarato propagandista alla Casa Bianca durante la presidenza Obama, ha annunciato che la Russia stava preparando il video fake, con “attori addestrati”, di un sabotaggio nell’Ucraina orientale, che avrebbe giustificato un’invasione russa. “Ciò che sappiamo, Matt, è che hanno fatto quest’attività” ha detto Price quando Lee ha dato il via a ciò che è diventato un martellamento di cinque minuti e sei secondi. “Abbiamo informazioni sul fatto che la Russia ha già preventivamente posizionato degli agenti per condurre un’operazione di false-flag in Ucraina orientale”.
“Attori addestrati?” ha risposto Lee “Davvero? Questo è il territorio di uno come Alex Jones. Che prove avete per sostenere l’idea che sia in preparazione un film di propaganda?”.
“Viene dalle informazioni di intelligence che abbiamo declassificato” ha risposto Price.
Lee: “Dove sono queste informazioni?”
Price: “Sono informazioni di intelligence che abbiamo declassificato”.
Lee: “Bene, dove sono? Dove sono le informazioni declassificate?”
Price (fingendo incredulità): “Le ho appena mostrate”.
E questo è quanto: abbiamo la prova di un’operazione di false-flag della Russia, proveniente da un’informazione di intelligence declassificata, e io ho condiviso con voi questa prova declassificata dicendovi che ce l’abbiamo.
Contemporaneamente, sul jet presidenziale, la Psaki stava rispondendo alle domande su chi fosse responsabile dei 13 civili, tra cui dei bambini, vittime del raid che si è concluso con la morte di al–Qurayshi. La posizione ufficiale è che il leader dell’ISIS ha fatto esplodere una bomba, uccidendo se stesso e altre 13 persone per evitare la cattura, e che i commando delle Forze Speciali che avevano condotto il raid non erano responsabili delle vittime.
La Rascoe di National Public Radio, a suo onore, ha quindi suggerito che i critici potrebbero essere scettici [in inglese] sulla versione del Pentagono (e del Presidente Joe Biden). “Gli Stati Uniti non sono sempre stati chiari su ciò che accade ai civili” ha sottolineato la Rascoe “e, insomma, questo è un dato di fatto”.
Non avendo alcuna prova a sostegno della rappresentazione ufficiale degli eventi, la combattiva Psaki è subito passata alla controffensiva. “Scettici sulla valutazione delle forze armate statunitensi che sono andate a prendere… il capo dell’ISIS?” ha domandato, fingendo incredulità proprio come aveva fatto Price. “Scettici sul fatto che non stanno fornendo informazioni corrette e che l’ISIS stia fornendo informazioni corrette?”.
L’atteggiamento ufficiale non ha tenuto in nessuno dei due casi. Price ha preso una batosta per mano di Lee come ho raramente ho visto in una conferenza stampa, dal vivo o in video. La Rascoe è stata più clemente, ma la Psaki si è rivelata altrettanto imbrogliona.
“Con noi o contro di noi”
In tutto questo, da non perdere è la logica binaria che Price e la Psaki hanno tentato di spiegare nel corso delle loro giustificazioni. La Psaki ha insinuato che la Rascoe, non accettando la versione americana degli eventi in Siria, accettava una versione dell’ISIS, sebbene non ci sia alcun resoconto dell’ISIS da accettare o rifiutare. Sulla stessa linea, di seguito trovate lo scambio successive con Matt Lee:
Se ha dei dubbi sulla credibilità del governo americano, del governo britannico e di altri governi, e vuoi, sai com’è, trovare conforto nelle informazioni che i Russi stanno diffondendo, ebbene, sta a te farlo.
Doppiamente assurdo. Non è meglio (non è diverso, in effetti) della dichiarazione dell’amministrazione di George W. Bush dopo la tragedia dell’11 Settembre 2001: “o siete con noi o siete con i terroristi”, dichiarò ignominiosamente uno dei nostri più stupidi presidenti.
Tra le caratteristiche degne di nota di questi due scambi è vedere quanto siano sembrati sorpresi i due portavoce ufficiali alla domanda di sostenere le loro affermazioni con delle prove. E perché non lo sarebbero dovuti essere?
La stampa e le emittenti mainstream, insieme alle pubblicazioni “progressiste” come Mother Jones e The Nation, hanno entusiasticamente accolto le versioni ufficiali degli eventi, accettando queste versioni come prove in sé. E’ ciò che io definisco “una cultura pervasiva dell’irrazionalità”.
La crisi ucraina e siriana, il trattamento degli Uiguri in Cina, ciò che sta succedendo o meno a Cuba, Venezuela e Nicaragua, le presunte interferenze di Mosca nella politica americana: tutte queste questioni e molte altre sono una confusione assoluta, un casino di cattiva informazione e di disinformazione, se si fa affidamento solo alle versioni del mainstream. Se non fosse per le più scrupolose pubblicazioni indipendenti, non ci sarebbe alcuna vera testimonianza su tali questioni.
Lo identifico più direttamente nel delirio di propaganda e inganno iniziato con il fiasco del Russiagate e con l’odio ossessivo-compulsivo degli autoritari liberali verso Donald Trump. Tutto ciò che si rifletteva negativamente su Trump e demonizzava la Russia era idoneo alla pubblicazione. Sembra evidente, ma dobbiamo tornare più indietro per capire che cosa ci ha condotto alla terribile situazione in cui siamo.
L’entusiastico arruolamento della stampa nella “guerra al terrore” di Bush II è stata la svolta fondamentale. Gli eventi del settembre 2001 hanno messo l’impero americano sulla difensiva per la seconda volta nel suo secolo di storia (la prima è stata dopo la sconfitta in Vietnam) e i media mainstream si sono precipitati a sua difesa. Dopo essere stata (giustamente) silurata come direttore esecutivo del New York Times, Jill Abramson ha fatto un resoconto notevolmente schietto [in inglese] su come fosse diventata schiava la stampa appartenente ai grandi gruppi editoriali.
E’ stato così da allora. La corrotta vicinanza dei media al potere che è oggetto delle loro notizie, non può essere separata dal fenomeno di un impero in declino e, per di più, consapevole di esserlo.
Matt Lee e Ayesha Rascoe sono eccezioni che prospettano un nuovo approccio, una rottura della stretta post-2001 del potere e della stampa? O sono delle eccezioni che confermano la regola?
Non è facile rispondere.
Il gioco delle prove (come lo chiamo io) ha avuto una svolta particolarmente drammatica nel gennaio del 2017, quando la “comunità dell’intelligence” ha diffuso una “valutazione” disastrosa [groviera style] sul furto delle mail del Partito Democratico a metà del 2016, e la stampa ha accettato questa valutazione senza prove, come una presunzione valida fino a prova contraria: sono le conclusioni desiderate che contano.
Ancora “imminente”
Domenica scorsa, mentre scrivevo questo articolo, sentivo dalla radio della cucina National Public Radio che trasmetteva ancora più infondata spazzatura sull’Ucraina, e che questa volta citava il consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan che diceva (ancora una volta) che l’invasione russa era “imminente”. Il titolo della notizia dell’Associated Press era “Il principale consigliere di Biden dice che l’invasione dell’Ucraina potrebbe avvenire ‘da un momento all’altro’”.
Né la National Public Radio né l’Associated Press hanno citato alcuna prova a sostegno dell’affermazione di Sullivan, per la semplice ragione che lui non ne ha fornita alcuna. Certe cose non cambiano.
Io però tendo a pensare che la scorsa settimana Lee e Ayesha abbiano effettivamente dichiarato la fine del gioco delle prove quando hanno detto “datecene qualcuna, per favore”. Non c’era la firma di Lee sulla storia di Associated Press (non ne vale la pena) e non c’era quella di Rascoe sulla National Public Radio.
E’ questa una grande svolta nell’atteggiamento dei media mainstream verso il potere, una rispolverata del vecchio concetto di stampa come Quarto Stato? No, non ci vedo nulla di così precipitoso o plateale. Potrei suggerire che questo sia l’inizio di un lungo, graduale processo, in cui potremmo vedere l’allontanamento della stampa dalla sua supina fedeltà al potere in tutte le sue manifestazioni.
Questo dipenderà da due cose:
La prima: ci sono segnali che alcune voci all’interno delle élite politiche e di governo a Washington si stiano rivoltando contro le avventure imperiali dell’America. Non per moralità o per qualche alta visione di come gli Stati Uniti debbano agire, ma perché queste avventure stanno arrivando a costare più dei vantaggi che portano. Questo fatto non deve essere sottovalutato.
Questo processo è diventato palese per la prima volta in una serie di articoli del New York Times pubblicata alla fine dell’anno scorso, in cui si parlava della superficiale condotta del Pentagono e delle successive notizie di attacchi sleali su un villaggio siriano e su una diga siriana sull’Eufrate.
Quegli articoli, sebbene sorprendenti, non davano adito a pensare che il Times avesse fatto una qualche svolta coraggiosa verso un giornalismo che dice scomode verità, come alcuni lettori li hanno interpretati. Essi rispecchiavano una fazione all’interno delle cricche politiche che pensano che questi eccessi non servano adeguatamente la causa del primato americano. A quanto pare, il Times si allinea a questa fazione.
La seconda (e più interessante): la perseveranza dei media indipendenti nel riportare la verità degli eventi in maniera sempre più fruibile alla lettura e alla visione del pubblico costringerà le loro controparti dei grandi gruppi editoriali a, una storia alla volta, riportare le notizie in maniera più onesta. Un caso emblematico è l’ottimo resoconto sull’Afghanistan e sulla Siria che si può trovare negli articoli dei media indipendenti.
Vedremo come tutto questo andrà a finire nelle settimane e nei mesi a venire. Lee lo fa da molto tempo, e non ha bisogno di suggerimenti da nessuno per fare un buon lavoro. Ma ciò che hanno fatto lui e la Rascoe la scorsa settimane è – dobbiamo dirlo – ciò a cui si sono dedicati i giornalisti e i corrispondenti che non sono legati al potere da quando i media indipendenti hanno dato il meglio di sé negli ultimi due decenni.
Articolo di Patrick Lawrence pubblicato su Consortium News il 7 febbraio 2021
Traduzione in italiano a cura di Elvia Politi per Saker Italia.