Con il passare delle ore, diventa sempre più chiaro che le attuali proteste in Kazakistan non sono scoppiate per ragioni economiche. L’aumento dei prezzi del gas è stato solo il pretesto per avviare le manifestazioni contro il governo nel paese asiatico.
Il solo aumento del prezzo del gas non basta a fare chiarezza sulle reali motivazioni che hanno portato allo scoppio fragoroso della protesta, visto che le manifestazioni non si sono fermate quando il governo ha accettato un prezzo più basso del gas liquido.
I manifestanti che sono scesi nelle strade e nelle piazze di due città di Zhanaozen e Aktau nel sud-ovest del Kazakistan (penisola di Mangyshlak) hanno chiesto non solo di riportare i prezzi al loro livello originale, ma di ridurli a 50 tenge. Le autorità, che non hanno reagito subito alle proteste, sono state comunque in grado di annunciare una riduzione del prezzo a 80-90 tenge il 3 gennaio. Ma i manifestanti non hanno mostrato soddisfazione. Hanno continuato a insistere, puntando alla cifra di 50 tenge nonostante le autorità avessero spiegato che a questo prezzo il gas sarebbe venduto sotto i costi di produzione. Infine, già oggi alle sette e mezza di sera, ora locale, il vice primo ministro Yeraly Tugzhanov si è recato dai manifestanti ad Aktau e ha annunciato la decisione della commissione governativa di ridurre il prezzo del gas nella regione a 50 tenge.
Le manifestazioni però erano già esplose in molte altre città del Kazakistan: Atyrau (ex Guryev), Aktobe (ex Aktyubinsk), Kostanay, Shymkent, Karaganda, Uralsk si sono unite ad Aktau e Zhanaozen. Piccoli gruppi di manifestanti sono comparsi ad Almaty e Nur-Sultan. Inoltre, la natura delle azioni dei manifestanti e dei loro slogan è cambiata.
Ad Aktau, il vice primo ministro che si era recato dai manifestanti è stato effettivamente preso in ostaggio dai partecipanti alla protesta e questi hanno affermato che lo avrebbero tenuto fino a quando il presidente Tokayev non si fosse recato da loro. Sono comparsi anche i primi esempi di azioni coordinate di manifestanti in diverse città.
Gli slogan della protesta non rimando affatto alla questione del gas. Adesso i manifestanti chiedono di abbassare i prezzi del cibo ed eliminare la disoccupazione. Ma sempre più persone gridano “Il governo si dimetta!”, “Mazhilis (il parlamento) si dimetta!” E chiedono nuove elezioni “democratiche” in tutto il paese. I nazionalisti che sono apparsi tra i manifestanti cantano: “Resey, ket! Shal, ket!” (Russia, vattene! Vecchio, vattene!). In chiaro riferimento al primo presidente del Paese, Nursultan Nazarbayev.
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Poi le proteste sono sfociate nella violenza contro le forze di sicurezza, con i manifestanti che puntano ai palazzi del potere. I manifestanti sembrano per preparati per certi tipi di scenario che possiamo definire insurrezionale, proprio come a Kiev quando poi si scoprì che le proteste erano state ben congegnate per rovesciare il governo.
Oltre ai nazionalisti, anche i liberali locali, che erano orientati “eurodemocraticamente” prendono parte alle proteste. Manifestanti di Aktau hanno affermato che presto nella regione arriverà una delegazione di deputati europei che potrebbero imporre sanzioni sui beni dei membri del governo all’estero.
Insomma, lo scenario presenta inquietanti similitudini con il Maidan in Ucraina, quando le proteste di piazza rovesciarono il governo filo-russo di Yanukovich trasformando l’Ucraina in una sorta avamposto della NATO ai confini della Russia. A tal proposito il Kazakistan risulta essere come un paese centrale nello spazio post-sovietico non solo per la Russia, ma anche per la Cina come snodo chiave della Nuova Via della Seta.
Tratto da: L’Antidiplomatico
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