Di Luca Grossi
Per trovare Iddu occorre cercare il tritolo destinato a Nino Di Matteo
“1343 latitanti catturati in 61 paesi, da gennaio a novembre 2021”. Sono questi i dati che sono stati presentati questa mattina al Viminale nella conferenza stampa di fine anno in cui si è fatta la somma del Servizio di cooperazione internazionale di polizia del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. “Molti di questi latitanti hanno storie criminali importanti: dal crimine organizzato alla pedofilia, dalla mafia al terrorismo” è stato riferito.
Molti dei soggetti più pericolosi sono stati arrestati grazie al progetto I CAN (Interpol Cooperation Against ‘Ndrangheta) promosso dall’Italia insieme ad Interpol e avviato già nel 2020.
Un ringraziamento a tutti coloro che hanno fatto il loro dovere nella cattura dei latitanti è d’obbligo. Ma perché neanche una parola spesa per la primula rossa di Castelvetrano Matteo Messina Denaro? Pupillo del capo dei capi Salvatore Riina, detentore dei segreti indicibili sulle stragi, (“se mi succede qualcosa i picciotti sanno tutto” disse Riina), latitante dal 1993 e scrivente di quella lettera – sentenza con cui aveva chiesto “ai fratelli della Sicilia di risolvere un problema grave”, tradotto: qualcuno deve uccidere il magistrato Nino Di Matteo “perché si è spinto troppo oltre”. 1343 latitanti catturati, di cui 6 a Cosa Nostra, 6 di ‘Ndrangheta, 9 di Camorra, 2 a mafie pugliesi e 15 a mafie straniere, è un bel numero, ma lui non c’è. Di tutta la “Piovra Corleonese”, da Riina ai fratelli Graviano, passando per Leoluca Bagharella, Giovanni Brusca e poi anche Bernardo Provenzano, sono finiti in carcere in un modo o nell’altro. Ma lui no.
“Com’è possibile – aveva domandato il nostro editorialista Saverio Lodato – che nell’era dei droni, delle intercettazioni telefoniche in tempo reale, in cui i crimini vengono ricostruiti nel giro di poche ore o di un giorno Matteo Messina Denaro non si riesce ancora a trovare?”.
La riposta potrebbe essere una: il potere del ricatto. Essendo lui il “gioiello” di Riina è anche il custode dei documenti che erano custoditi nell’ultimo covo del Capo dei Capi, teatro anche della perquisizione mancata più risibile della storia. E poi c’è un altro motivo: “E’ protetto da una rete massonica” sostiene Teresa Principato, sostituto procuratore alla procura nazionale antimafia con un passato negli uffici giudiziari palermitani dove ha dato la caccia al super-latitate per otto anni.
Oggi la sua ricerca è affidata ad un nuovo gruppo di poliziotti scelti, guidato dal capo dell’Anticrimine Francesco Messina, dei carabinieri del Ros di Pasquale Angelosanto, dalle squadre mobili di Palermo e Trapani e dai comandi provinciali dell’Arma. E poi i servizi segreti (quelli leali) che hanno fissato sulla sua testa una taglia da tre milioni di euro, la procura di Palermo e la procura nazionale Antimafia.
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Certamente prendere “Diabolik” non è una cosa facile. La complessità delle indagini è indubbia e, purtroppo, quant’anno si è registrato anche un clamoroso ‘flop’ investigativo: la procura di Trento era convinta di averlo finalmente trovato in Olanda. Uomini dell’Interpol hanno finito con l’ammanettare e portare via un semplice turista inglese andato a vedere il gran premio di Formula Uno.
La sua “gradita” latitanza poteva finire una sera d’aprile del 1997. Ad Aspra, un piccolo comune vicino a Bagheria, c’è una strada chi si chiama via Milwaukee omonima della città americana in cui sono emigrati moltissimi pescatori della zona. In quella via il commissario Carmelo Marranca aveva trovato l’unico covo di Messina Denaro che sia mai stato scoperto. Gli investigatori erano sulle tracce di Maria Mesi, l’amante di Matteo Messina Denaro, una bella ragazza dai tratti mediterranei che ogni sera entrava in via Milwaukee per poi scomparire e ricomparire a tarda notte, camuffata con un cappello, una sciarpa e li occhiali da sole. Gli inquirenti riescono ad individuare l’appartamento e a pizzare delle telecamere: ma da quel momento nessuno si fa più vedere in quel posto. Quando i poliziotti decidono di fare irruzione in casa non c’è nessuno ma una cosa è fin troppo evidente: qualcuno è dato via in fretta. In frigo c’è ancora una confezione di caviale e delle costose salse austriache, sul comodino un foulard e un bracciale da donna comprato in una esclusiva gioielleria di Palermo. Nell’appartamento è stata trovata anche una lettera indirizzata alla casa di produzione per farselo inviare. Chi ha avvisato il latitante? Come fa un ‘fantasma’ ad avere questo potere? O meglio chi è il “Santo” che lo protegge? Perché qualcuno che lo protegge ci deve essere. Un dettaglio non da poco è stata la riesumazione di un nastro che conteneva la sua voce, dimenticato per 28 lunghi anni negli archivi del tribunale di Marsala. Mentre solo pochi mesi fa è saltata fuori un’inquadratura di una telecamera di sorveglianza piazzata su una strada in provincia di Agrigento: nel video si vede per pochi secondi il viso di un uomo, per gli investigatori è Messina Denaro.
Quel video risale al 2009 quando il latitante si muoveva con una carta di identità intestata ad una persona del comune di Alcamo. All’epoca, raccontano i pentiti, Matteo poteva permettersi persino il lusso di andare allo stadio mentre mezzo mondo lo cercava. Dopo la pubblicazione di questo materiale nessuno, nemmeno la stampa, ha avuto il coraggio di chiedere “perché” questo signore non è stato ancora catturato.
Ma un modo sicuro per catturare Matteo Messina Denaro? Si. Trovare il tritolo per l’attentato al magistrato Nino Di Matteo. Quell’esplosivo di 150 chili è da qualche parte, forse in un garage a Palermo, o forse in una “onorata” masseria, legato indissolubilmente alla primula rossa di Castelvetrano.
Tratto da: Antimafiaduemila