Le aree inquinate dalla fuoriuscita di petrolio in Amazzonia sono state trasformate in rotte turistiche, in cui poter vedere gli inceneritori, i pozzi di petrolio e i luoghi più danneggiati.
Per denunciare, sensibilizzare e mostrare al mondo intero l’inquinamento dell’Amazzonia da parte delle compagnie petrolifere, un’associazione di attivisti indigeni e contadini ha organizzato “Toxic Tour”, un percorso turistico attraverso le aree più inquinate dal petrolio in cui i disastri ambientali, con cui queste persone hanno convissuto per anni, si trasformano in attrazioni turistiche e denuncia.
Tra le “attrazioni” protagoniste del tour guidato dall’Unione delle persone colpite dalle operazioni petrolifere di Texaco – UDAPT, ci sono: gli inceneritori, i pozzi di petrolio e i luoghi più danneggiati, nei quali si possono osservare le profonde ferite di una terra depredata e conoscere i suoi popoli quasi dimenticati.
Il disastro ambientale in Amazzonia non è un problema recente. Oltre alla deforestazione e agli incendi, per decenni le multinazionali e le compagnie petrolifere hanno esplorato e colpito alcune aree della foresta pluviale più grande e ricca di biodiversità del pianeta, causando danni irreversibili ai suoi ecosistemi.
Prima dell’arrivo dell’industria petrolifera, l’Amazzonia settentrionale dell’Ecuador era abitata soprattutto dalle comunità indigene, che vivevano in armonia con il loro territorio e con la natura. Tutto cambiò quando, tra il 1964 e il 1990, Texaco (acquisita da Chevron nel 2001) ebbe in gestione una concessione petrolifera di circa 500.000 ettari tra le province di Sucumbíos e Orellana.
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Da allora, circa 64 miliardi di litri di acqua tossica e 650.000 barili di greggio sono stati riversati nei fiumi e nelle foreste dell’Amazzonia. Sebbene anche altre società facessero parte della concessione, Texaco è la maggiore imputabile per questi disastri dal momento che era la responsabile della realizzazione di tutta la parte tecnica ed operativa per l’estrazione degli idrocarburi.
Il risultato di 26 anni di pratiche estrattive scorrette è stato una delle catastrofi ambientali più gravi della storia umana, che ha causato e continua a causare effetti devastanti sulla vita, la salute, la cultura e l’ambiente delle oltre 30.000 persone che vivono nell’area”, assicura l’ UDAPT.
Il tour attira sopratutto attivisti, giornalisti, fotografi e videomaker, i visitatori ideali dell’UDAPT, i cui membri cercano disperatamente giustizia e vogliono che la loro storia venga raccontata, per dare voce alle popolazioni indigene e contadine che soffrono le conseguenze di uno sviluppo economico che ignora l’impatto ambientale e la responsabilità sociale delle sue azioni.
Un turismo questo che vorremmo che non esistesse, non per ignorare la grandezza di questa piaga, ma perché se non ci fossero cattive pratiche estrattive, sfruttamento, egoismo con i diritti degli indigeni calpestati e tanti disastri ambientali che stanno mettendo in serio pericolo la flora e la fauna di tutta l’area, Toxic Tour non sarebbe mai nato e l’ Amazzonia sarebbe ancora il nostro polmone verde.
FONTE: UDAPT / El País, GreenMe
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