Da marzo 2020 raccontiamo il disagio dei giovani e giovanissimi causato dal lockdown.
Un disagio denunciato dai reparti di neuropsichiatria infantile di tutta Italia, che hanno visto saturare le disponibilità di ricoveri, che hanno visto triplicare le richieste di aiuto, che hanno dovuto ricoverare ragazzi sempre più piccoli con sindromi depressive, anoressia, tentativi di autolesionismo e suicidio.
Il suicidio è la seconda causa di morte tra i 10 e i 25 anni. Lo aveva denunciato a gennaio il Professor Vicari del Bambino Gesù: “Per la prima volta i posti letto totalmente occupati da chi ha tentato di uccidersi”.
Sono devastanti le conseguenze del disagio dei giovani, additati come untori, criminalizzati, isolati, privati della crescita nel gruppo dei pari, costretti a stare al computer e a subire restrizioni e privazioni, scuole e palestre chiuse, niente sport e primi amori, vita sociale azzerata. Abbiamo raccontato il TSO cui è stato sottoposto uno studente che si ribellava simbolicamente alla mascherina.
Ma fino ad oggi i giovani sono stati dimenticati, salvo promettere loro un “futuro verde”, indebitandosi a vita col Recovery Fund, e un altrettanto “verde” lasciapassare per poter conquistare il premio di assistere ad un concerto o viaggiare.
Ma questi ragazzi sono bianchi e non adottati, quindi mediaticamente non esistono, politicamente non possono essere utili all’ennesimo sciacallaggio di distrazione di massa.
Il caso di Seid ha fatto il giro di tutta Italia.
Si è suicidato: era di origine etiope e adottato.
Perfetto.
Basta violare la sua breve vita per pescare un post Facebook del 2019, in cui esprimeva un disagio.
Costruito il caso, fatta la diagnosi: è morto di razzismo.
Gongolano i vari Boldrini, Saviano, Letta e compagnia arcobaleno, non aspettano altro, i vari media del pensiero unico, di buttarsi come iene sul suo cadavere.
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Dopo l’omotransfobia, un caso di suicidio per razzismo è perfetto per la Road map della narrazione benaltrista.
Ma non è così.
Seid è morto come un qualsiasi ragazzo bianco, italiano, delle nostre famiglie “normali”.
Parla la mamma. Le sue parole sono una denuncia sferzante, più di qualsiasi altra elaborata analisi, contro il tentativo squallido di strumentalizzare la sofferenza e il suicidio di suo figlio solo perché nero e adottato.
Seid era un ragazzo come i tanti ragazzi della sua età, anche più piccoli, che saturano i reparti di neuropsichiatria infantile.
A Telenuova, infatti, la madre ha detto che il disagio è iniziato proprio a causa del lockdown, ha parlato dell’ ’”isolamento che i ragazzi hanno vissuto” durante la pandemia, raccontando anche di come Seid avesse vissuto con difficoltà il lunghissimo periodo di chiusura trascorso a Milano, dove studiava giurisprudenza alla Statale, “chiuso 24 ore su 24 in una stanza nello studentato. Quello che dobbiamo fare è non lasciare i ragazzi da soli, devono stare insieme, socializzare”.
Il suo disagio era quello di tutti gli altri giovani della sua età e in più Seid non aveva neppure potuto giocare a calcio, dove si era rivelato una vera promessa.
Seid era iscritto in giurisprudenza: credeva nella giustizia e avrebbe voluto diventare un paladino della giustizia, ribadisce la mamma.
“Voglio precisare ancora una volta che Seid non ha fatto quel gesto per problemi razziali”, ha affermato il padre : “l’atto d’accusa scritto da Seid contro il razzismo e letto durante i suoi funerali è stato scritto tanti anni fa. Mio figlio lottava contro le discriminazioni razziali di tutti i generi. Non faceva niente per sé, faceva per gli altri”. Walter Visin ha annunciato la volontà di onorare la memoria del figlio, dando il via ad un progetto rivolto ai giovani “per aiutarli ad essere forti. Noi adulti, la politica, non siamo bravi, siamo egoisti. I giovani quindi devono essere forti per lottare come ha fatto Seid”.
Seid non è morto di razzismo ma come “effetto collaterale” della gestione della pandemia. Come una ragazzina di Torpignattara, periferia di Roma, che a soli 13 anni si è suicidata impiccandosi ad un cavo elettrico ieri. La mamma racconta sui social che la ragazzina era stata isolata e bullizzata dalle amiche e per tutelarla aveva chiesto che cambiasse scuola.
La stessa scuola aveva segnalato il caso alla Procura dei minori e la ragazza era seguita a livello psicologico dall’Umberto I°. Ma poi è arrivata la Pandemia, l’identità sociale mantenuta e rivitalizzata solo a livello digitale, l’impossibilità di trovare un’alternativa al gruppo di pari, la solitudine, la restrizione di qualsiasi nuova possibile amicizia.
Questi ragazzi stanno pagando il prezzo più alto della gestione Covid.
Tratto da: Antidiplomatico