Dopo 5 ore di camera di consiglio, il presidente della corte d’assise d’appello di Roma Flavio Monteleone ha letto la sentenza in merito all’omicidio di Stefano Cucchi, morto il 22 ottobre 2019 a Roma, in seguito al pestaggio subito dai carabinieri della stazione di piazza Farnese che lo arrestarono la settimana prima.
La giuria ha accolto le richieste della procura generale, sostenuta da Roberto Cavallone, di non riconoscere agli imputati le attenuanti generiche riconosciute, invece, in primo grado.
Così sono stati condannati a 13 anni di reclusione i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro per omicidio preterintenzionale. I due militari dell’Arma, in primo grado, erano stati condannati a 12 anni di carcere.
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Quattro anni di carcere (rispetto ai 3 anni e mezzo in assise) rappresentano la pena attribuita al maresciallo Roberto Mandolini (comandante della stazione Appia dove venne portato Cucchi dopo il pestaggio) per la compilazione del falso verbale di arresto del 31enne romano. Confermata, sempre per falso, la condanna a due anni e mezzo del carabiniere Francesco Tedesco che in primo grado era stato scagionato dall’omicidio preterintenzionale. Gli avvocati delle difese dei carabinieri hanno già annunciato il ricorso in Cassazione. Intanto è giunto anche il commento di Ilaria Cucchi, sorella del giovane geometra: “Il mio pensiero va a Stefano e ai miei genitori che oggi non sono qui in aula. E’ il caro prezzo che hanno pagato in questi anni”. “Il nostro pensiero – ha aggiunto Fabio Anselmo, legale di Ilaria – va ai procuratori Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino e Giovanni Musarò, dopo tante umiliazioni è per merito loro che siamo qui. La giustizia funziona con magistrati seri, capaci e onesti. Non servono riforme”.
Tratto da: Antimafiaduemila