Come Reporter senza frontiere “costruisce” il suo Rapporto sulla libertà di stampa

Come Reporter senza frontiere “costruisce” il suo Rapporto sulla libertà di stampa

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Tempo di lettura: 3 min

Di Agata Iacono

Il 3 maggio era la giornata internazionale della libertà di stampa. Come ogni anno vengono diffuse le classifiche mondiali sulla libertà di stampa in ogni Paese, corredate da commenti sul 41° posto dell’Italia e “analizzata” la mappa già pubblicata da World Press Freedom.

Ma chi commenterà, avrà l’onestà intellettuale di spiegare esattamente di cosa si tratta e come viene stilata la classifica?

La classifica è un incrocio tra dati oggettivi, in base a specifici indici, e percezioni soggettive.

Sono due ONG che stilano la classifica annuale: Report Senza Frontiere e Freedom House.

Entrambe utilizzano criteri qualitativi e quantitativi, entrambe fanno coincidere il concetto di libertà di stampa con quello di indipendenza della stampa, cioè non legata a finanziamento privato interessato a influenzare l’opinione pubblica.

Report Senza Frontiere invia un questionario ai suoi partner in vari paesi del mondo: associazioni, gruppi, comitati, altre ONG, singoli giornalisti selezionati ad esclusiva discrezione di RSF.

La lista è secretata, per “tutelare” chi partecipa al sondaggio.

Quindi non è dato sapere di chi siano le opinioni e i voti espressi per giudicare la libertà di espressione della stampa in ogni Paese.

Metodo estremamente discutibile, che nulla ha a che fare con una seria e significativa metodologia sociologica.

Ogni “giurato” ha a disposizione voti da 1 a 10 sui seguenti temi:

Pluralismo, indipendenza dei media, contesto legislativo, censura e possibile autocensura.

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Un primo punteggio viene ottenuto attraverso una formula matematica.

È inutile ribadire che si tratta di un metodo assolutamente percettivo, di cui tra l’altro non si conosce il campione né la sua effettiva distribuzione globale, sappiamo soltanto che si tratta di 18 ONG per la libertà di espressione, con circa 150 corrispondenti tra ricercatori, giuristi, giornalisti e attivisti per i diritti umani.

Sul punteggio pesano in modo particolare le sanzioni per i reati di stampa, le querele e le intimidazioni denunciate, l’esistenza o meno di un monopolio di stato, il livello di indipendenza dei media pubblici.

Altre valutazioni verranno poi aggiunte da RSF ai punteggi finali, scaturite da “monitoraggio” su particolari situazioni di censura o gravi reati contro i giornalisti.

È importante specificare che i criteri e gli argomenti, le domande e i voti da assegnare sono cambiati nel corso degli anni, quindi per RSF non è importante il punteggio quanto la comparazione negli anni e con gli altri Stati per evidenziare il miglioramento o il peggioramento generale della situazione generale.

Freedom House invece si limita a confrontare la legislazione di ogni Paese sulla libertà di stampa con il “Paese reale”.

Non è dato sapere chi giudica e come, secondo quali criteri, un “Paese Reale” “secondo l’ambiente politico ed economico”.

Vorremmo sapere che punteggio viene assegnato alla reclusione di Assange nel Regno Unito su richiesta di estradizione da parte degli USA,  o all’omicidio Khashoggi e se il carcere del truffatore Navalniy è conteggiato.

In Italia il monopolio dell’informazione è in mano a oligarchie e multinazionali con sedi fiscali all’estero che perseguono la propaganda più becera neo-liberista (Ue) e fondamentalista atlantista. Per farlo applicano censura vera e finta (caso Fedez) perché si parli solo di alcuni temi e altre battaglie (giuste) vengano strumentalizzate perché non si parli delle battaglie importanti (i diritti sociali).

Vi basta sapere questo e non fate affidamento sull’obbiettività di Reporters sans frontières e sui suoi finanziatori. Lo aveva scritto un giornalista di prim’ordine: il tedesco Udo Ulfkotte. Il 13 gennaio 2017 fu stroncato da uno strano infarto. Un omicidio (come osarono sospettare alcuni suoi colleghi)? Ma quando mai! La Germania è, da sempre, ai primi posti nella libertà di stampa. Lo assicura il Rapporto di Reporters sans frontières.

Tratto da: L’Antidiplomatico

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