di Giovanni Bideni
Il progetto North Stream 2, i cui lavori sono ormai prossimi alla conclusione, ossessiona Joe Biden a circa tre mesi dal suo insediamento ufficiale alla Casa Bianca nel ruolo di presidente.
L’appello alla narrativa anti-Russia sembra riconciliare democratici e repubblicani: oltre alle pressione sui singoli paesi europei e sull’Agenzia Europa del Farmaco (Ema) volte a scongiurare l’approvazione del vaccino anti-Covid19 Sputnik V il Senato statunitense sta discutendo l’implemento di nuove sanzioni ai danni di Mosca per interrompere nuovamente la costruzione del gasdotto che permetterà al gas russo di arrivare in Germania senza attraversare paesi fortemente legati alle politiche statunitensi, come Ucraina, paesi baltici e Polonia.
Tanta è l’ossessione di tener a tutti i costi la Russia lontana dall’Europa che Joe Biden si è detto pronto a nominare ufficialmente un delegato speciale che possa occuparsi di fare lobby sull’Europa occidentale – in particolare sulla Germania – e su tutte le aziende coinvolte nel progetto.
I lavori erano stati interrotti nel 2019 in seguito alla rinuncia della compagnia svizzera Allseas, avvenuta in relazione alle sanzioni imposte dagli Stati Uniti. Dopo la ripresa nel dicembre 2020, il progetto non ha subito più interruzioni. Nonostante gli sforzi profusi dagli Stati Uniti, la conclusione del progetto appare ormai certa: il gasdotto è infatti completo al 97%: ben 2339 dei 2460 chilometri di tubi necessari per il completamento dell’opera sono già stati posati. Attualmente, la Germania riceve ogni anno circa 55 miliardi di metri cubi di gas naturale dalla Russia tramite il gasdotto North Stream: con la costruzione di North Stream 2, questi volumi potranno addirittura raddoppiare. Sovrapponendosi al North Stream 1, il tracciato del nuovo gasdotto parte dalla Russia nord occidentale raggiungendo le coste tedesche sul Mar Baltico.
L’insistente tentativo statunitense di bloccare il North Stream 2 rischia di deteriorare ulteriormente il rapporto di Washington con la Germania e con il resto dell’Europa occidentale. Del resto, anche il precedente inquilino della Casa Bianca, aveva esplicitato in più occasioni la sua insofferenza nei confronti della Germania imponendole sanzioni e dazi sulle esportazioni verso gli Stati Uniti.
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La cancelliera tedesca ha recentemente ribadito che “la Germania ha scelto di supportare North Stream 2”. Ad Angela Merkel si è accodato il ministro degli esteri tedesco Mass Heiko: “fermarsi adesso potrebbe aggravare ulteriormente la situazione sul confine russo-ucraino”. La Casa Bianca sta comunque cercando di rallentare e di intralciare con ogni mezzo la costruzione del gasdotto: è previsto per il mese di maggio la presentazione al Congresso statunitense del progetto di un nuovo pacchetto di sanzioni legate al North Stream 2.
La maggior parte degli esponenti politici delle due principali forze politiche statunitense non manca di convergere nell’aggressività antirussa: il senatore repubblicano Ted Cruz e altri membri del Congresso hanno spinto a lungo perché le misure punitive venissero implementate: nel mirino delle sanzioni c’è North Stream AG, gruppo di aziende a capo del progetto di cui la russa Gazprom è socio di maggioranza. Il consorzio è gestito da Matthias Warnig, ex ufficiale STASI vicino a Vladimir Putin. Ma le minacce sembrano non aver impressionato i vertici moscoviti: i dirigenti di Gazprom si sono detti fiduciosi sulla finalizzazione del progetto ed il deputato russo Pavel Zavalny ha dichiarato che l’inaugurazione del North Stream 2 avverrà a fine dell’estate.
Tuttavia, Washington sembra aver addirittura individuato una figura specifica con il compito di proseguire il lavoro di minaccia ed intimidazione politica anti-North Stream 2. La scelta più probabile sembrerebbe quella di Amos Hochstein, che aveva ricoperto un ruolo simile nell’amministrazione Obama oltre ad aver fatto parte della dirigenza della compagnia ucraina Naftogaz: Amos Hochstein si è rifiutato di rilasciare commenti a riguardo. Le sue dimissioni dalla dirigenza di Naftogaz dello scorso ottobre non hanno fatto venire meno gli interessi che legano Joe Biden a Naftogaz. “Siamo fiduciosi sul fatto che Biden implementerà le necessarie misure […] per fermare il progetto russo” ha confermato Vadym Glamazdin, dirigente Naftogaz: durante la campagna elettorale statunitense dello scorso autunno Naftogaz aveva addirittura rilasciato sul proprio sito web dichiarazioni ufficiali a supporto di Joe Biden. Nello stesso periodo era emersa lo scandalo del coinvolgimento di Joe Biden nel settore energetico ucraino: Donald Trump non aveva mancato di attaccare Joe Biden, denunciando anche le responsabilità del figlio Hunter: quest’ultimo tra il 2014 e il 2019 aveva ricoperto un ruolo da dirigente nei ranghi di un’altra società ucraina, Burisma. In relazione al ruolo del figlio, alla sua vicinanza a Amos Hochstein e Burisma, lo stesso Joe Biden era stato sospettato di aver avuto un ruolo nella rivendita di gas russo in Ucraina attraverso il reverse-flow: con questo schema, il gas russo veniva fatto arrivare entro in confini dell’Unione Europea – in Slovacchia –, reindirizzato in Ucraina e venduto come “gas europeo” ad un prezzo di gran lunga più alto. Biden avrebbe ricevuto parte del ricavato tramite Hochstein, al tempo ai vertici di Naftogaz.
A formulare queste accuse era stato il parlamentare ucraino Andrei Derkach. A sostegno di questa tesi lo scorso anno Derkach aveva pubblicato alcune registrazioni audio delle conversazioni tra Biden e l’ex presidente ucraino Poroshenko. La vicenda aveva evidenziato un chiaro conflitto di interessi tra il ruolo istituzionale di Joe Biden – allora vicepresidente – e il coinvolgimento del figlio e di Hochstein in Ucraina. Una problematica che riemerge con la probabile promozione di Hochstein ad “incaricato speciale anti-North Stream 2”.
Tratto da: L’Antidiplomatico
Fonte foto: infognomopolitcs
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