Di Elena Borsellino
Malformazioni e mortalità infantile sopra la media nazionale. È il tragico primato detenuto da Taranto, patria dell’Ilva, una delle industrie più grandi d’Europa, considerata il fiore all’occhiello della siderurgia italiana. È qui che dal 2002 al 2015 sono nati 600 bambini malformati e proprio nella zona circostante lo stabilimento, come riportato nel secondo Rapporto di Valutazione del Danno Sanitario (VDS), pubblicato nel 2018. Ed è qui che Francesco Casula de Il Fatto Quotidiano ha recentemente intervistato alcuni genitori delle piccole vittime di malattie come il neuroblastoma, il sarcoma o il linfoma linfoblastico.
È, invece, l’aggiornamento dello studio SENTIERI per i comuni di Taranto e Statte, pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità nel 2014, a riportare eccessi di mortalità nel primo anno di vita rispetto alla media nazionale. Sono stati osservati, inoltre, eccessi di bambini ricoverati nel primo anno di vita per tutti i tumori e eccessi di tumori del sistema nervoso centrale nel primo anno di vita e nella fascia di età 0-14 anni.
Secondo le perizie disposte dal gip Patrizia Todisco nel 2012, “l’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte”. Sono tante le storie di bambini o poco più che vivevano nella zona di Taranto e sono stati uccisi da malattie come neuroblastoma, sarcoma o linfoma linfoblastico. La morte del piccolo Lorenzo Zaratta, a soli 5 anni, per un tumore al cervello, è l’unica la cui causa fu identificata nelle nubi tossiche dell’Ilva dalla Procura ionica. Per molti altri bambini non ci furono nemmeno le denunce dei familiari.
Sempre a 5 anni è morta la piccola Miriam Santoro. “Non ho bisogno di un’evidenza scientifica che mi dica che la causa di quella tragedia sia stata l’Ilva” ha raccontato a Il Fatto QuotidianoAntonella Massaro, la madre della bambina a cui era stato diagnosticato un neuroblastoma al quarto stadio, la forma più grave. “La gente mi diceva che non era il caso di mostrare mia figlia senza capelli. Era come se la malattia fosse uno scandalo. Peggio, una colpa”. La fabbrica era considerata un vero e proprio fiore all’occhiello, in grado di dare lavoro a centinaia di persone. Almeno finché i periti incaricati dal giudice Todisco non conclusero che “l’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte”.
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Siria aveva appena 18 mesi quando le fu diagnosticato un neuroblastoma. “Siria è stata concepita, è nata, ha vissuto ed è morta nel quartiere Tamburi” racconta a Casula la madre Francesca Summa, “Ufficialmente non c’è alcuna correlazione nero su bianco. Che ne penso io? Penso quello che pensano tutti, ma devo stare attenta a dirlo perché rischio pure una querela. Capito? Oltre il danno anche la beffa”.
Giorgio Di Ponzio, morto a 15 anni nel gennaio 2019 per un sarcoma dei tessuti molli, viveva con la sua famiglia a Paolo VI, che dista pochi chilometri dalla fabbrica. Questo quartiere di Taranto, secondo gli esperti, è uno dei più colpiti dai veleni dell’acciaieria, insieme al quartiere Tamburi. La madre, Carla Luccarelli, non ha paura ad affermare: “Certo che è stata l’Ilva a causare la malattia di mio figlio. Non è solo secondo me: lo dice la Fondazione Airc per la ricerca sul cancro che la diossina è una delle cause di questo tumore rarissimo”. Il sarcoma dei tessuti molli è stato scoperto a ottobre 2016, appena due anni prima che Giorgio morisse a causa di esso.
I genitori del ragazzo, Carla e Angelo, hanno fondato il comitato “Niobe”, per raccogliere le famiglie che hanno subito il loro stesso dolore, e la fondazione “Giorgio Forever”. Oggi “Vogliono tornare a produrre 8 milioni di tonnellate: praticamente sarebbe il colpo di grazia a Taranto”.
Nel 2012, il giudice Patrizia Todisco aveva ordinato il sequestro della fabbrica “affinché non un altro bambino, non un altro abitante di questa sfortunata città, non un altro lavoratore dell’Ilva, abbia ancora ad ammalarsi o a morire o ad essere comunque esposto a tali pericoli, a causa delle emissioni tossiche del siderurgico”.
Tratto da: Antimafiaduemila
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