di Fabrizio Verde
L’Ecuador è in fiamme. Le misure di austerity implementate dal regime di Lenin Moreno su ‘indicazione’ del Fondo Monetario Internazionale hanno provocato una forte reazione popolare. Tutto a un tratto il paese andino sembra aver fatto un salto indietro nel tempo agli anni 90’, in quella triste ‘larga noche neoliberal’ che danni inenarrabili ha provocato nell’intera regione sudamericana.
La rabbia popolare è esplosa nelle principali città del paese a cominciare dalla capitale Quito dopo che il regime ha decretato una serie di misure, il cosiddetto ‘paquetazo’, volte a scaricare tutto il peso di una crisi provocata dal nefasto binomio neoliberismo-FMI sul popolo.
Lo scorso 1° ottobre il presidente dell’Ecuador Lenin Moreno annunciava una serie di misure economiche da introdurre per soddisfare le richieste avanzate dal Fondo Monetario Internazionale che avrebbero permesso al governo di Quito di ottenere un prestito da 4 miliardi di dollari dall’istituzione finanziaria internazionale.
Una serie di misure, come dicevamo in precedenza, tutte dirette al peggioramento delle condizioni di vita del popolo ecuadoriano. Il solito copione già visto ad ogni latitudine del globo e che mai ha portato alcun beneficio a nessun paese.
Tra queste misure si segnala l’eliminazione del sussidio e la liberalizzazione dei prezzi dei carburanti, con un contestuale aumento del 123% dei prezzi di benzina e diesel. Senza dimenticare che Lenin Moreno aveva già provveduto a implementare una riforma lavorativa che andava a colpire i diritti dei lavoratori pubblici. Gettandone un buon numero letteralmente per strada. Un jobs act in salsa ecuadoriana che che ha incontrato il plauso dei fanatici liberisti dell’FMI.
L’applicazione del ‘paquetazo’ ha fatto esplodere la sacrosanta rabbia popolare verso un regime che già mal sopportato visto che Moreno è stato eletto con i voti di Correa, di cui è stato anche vicepresidente, ma una volta eletto è passato armi e bagagli nel campo neoliberista. Una vera e propria usurpazione. Il popolo ecuadoriano non aveva votato per ritrovarsi in casa quel Fondo Monetario Internazionale cacciato dal paese con l’arrivo alla presidenza di Rafael Correa. Un economista formatosi negli Stati Uniti capace di risollevare un paese che non ha più nemmeno una propria moneta. L’ultima crisi grave comportò la sparizione del Sucre, la moneta nazionale, con la completa dollarizzazione dell’economia.
Nonostante queste premesse, Correa con la sua Revolucion Ciudadana, fu capace di risollevare un paese allo stremo, rinegoziare il debito illegittimo contratto dal paese in epoca neoliberista, migliorare le condizioni di vita del popolo ecuadoriano, ridurre il tasso di povertà e al contempo lavorare con gli altri governi della regione per la costruzione della Patria Grande latinoamericana con Chavez, Evo Morales, Lula, Nestor e Cristina Kirchner, Fidel Castro.
Alla protesta popolare il governo Moreno ha risposto con la più brutale repressione. Addirittura il regime si è spinto fino a dichiarare lo stato di eccezione per sessanta giorni.
Assordante il silenzio della stampa internazionale che racconta quanto accade in Ecuador con distacco, quasi fosse tutto normale. Così come il silenzio di chi come Luis Almagro o il Gruppo di Lima è sempre pronto a invocare interventi ‘democratici’ contro il Venezuela bolivariano.
Fonte: L’Antidiplomatico
Fonte foto: Daily sabah
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